Trump e il “piano di pace segreto” per l’Ucraina: realtà o disinformazione?

Trump e il “piano di pace segreto” per l’Ucraina: realtà o disinformazione?
Foto di Glib Albovsky / Unsplash

La cerimonia d’insediamento di Donald Trump è stata accompagnata da segnali apparentemente contrastanti sul futuro della guerra in Ucraina.

Da un lato, la presenza a Capitol Hill di Washington di David Arakhamia, un fedelissimo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è stata letta come un tentativo di rassicurare Kyiv sul fatto che la nuova Casa Bianca non intenda abbandonare il Paese aggredito dalla Russia.

Dall’altro, il nuovo presidente americano ha già definito nella sua prima intervista da presidente alla Casa Bianca, il leader ucraino Zelensky come “non un angelo” e ha sospeso tutti gli aiuti esteri – ad eccezione di quelli militari – a quasi tutti i Paesi, con l’eccezione di Israele ed Egitto, lasciando più di una perplessità sulle reali intenzioni di Washington.

Un emissario ucraino alla corte di Trump

David Arakhamia, imprenditore di spicco e numero due de facto di Zelensky, ha partecipato all’inaugurazione di Trump assieme ad un ristretto gruppo di dignitari stranieri.

Secondo il The Independent, Arakhamia sarebbe riuscito a ottenere la promessa di un incontro formale tra il neo-presidente statunitense e una delegazione ufficiale di Kyiv già il mese prossimo.

Alcune fonti interne alla nuova Amministrazione americana confermano la volontà di mantenere aperta la porta al dialogo con Zelensky, magari per raggiungere un accordo che ponga fine al conflitto con la Russia entro tempi relativamente brevi.

Non è un mistero che Arakhamia stia cercando in tutti i modi di rassicurare sia l’opinione pubblica ucraina sia i partner occidentali sulla continuità del sostegno da parte di Washington, malgrado le affermazioni di Trump su una presunta corresponsabilità di Kyiv nell’innesco delle ostilità con Mosca.

Al tempo stesso, il presidente americano ha ribadito di non voler ostacolare l’invio di forniture militari all'Ucraina fino a quando non si giungerà a un’intesa, nonostante il blocco temporaneo imposto sugli altri aiuti esteri.

Il “piano dei 100 giorni” e la smentita di Zelensky

A complicare il quadro sono emersi dettagli, non confermati, su un presunto “piano di pace” elaborato dal team di Trump, pubblicato dal media ucraino Strana.ua.

Secondo tale documento, l’obiettivo sarebbe quello di chiudere la guerra in 100 giorni, con una serie di tappe che includerebbero telefonate, incontri separati o congiunti con Vladimir Putin, una tregua entro Pasqua (20 aprile) e un’intesa conclusiva prima del 9 maggio, il V-Day della seconda guerra mondiale nell'ex Unione Sovietica.

Il testo menziona anche la possibilità di un ritiro delle truppe ucraine dalla regione russa di Kursk, uno scambio di prigionieri e l’impegno di Kyiv a non entrare a far parte della NATO, seppur con la prospettiva di entrare invece nell’Unione Europea entro il 2030.

Il piano pubblicato da Strana.ua prevede inoltre che, dopo l’accordo, l’Occidente riduca gradualmente le sanzioni contro la Russia e riprenda l’import di risorse energetiche, tassandole però con dazi speciali da destinare alla ricostruzione dell’Ucraina.

Da parte ucraina, il capo di staff dell’ufficio presidenziale Andriy Yermak ha però subito bollato la pubblicazione di questo documento come una “manipolazione” finalizzata a legittimare posizioni favorevoli alla Russia.

Il ruolo di Putin e i dilemmi di Kyiv

Sul versante opposto, il Cremlino afferma di restare “aperto al dialogo”, ma solo se Zelensky accetterà quelle che Mosca definisce le "nuove realtà territoriali".

Il nodo dei territori che dovrà cedere Kyiv rappresenta una delle questioni più spinose: secondo il presunto piano di Trump pubblicato da Strana.ua, Kyiv dovrebbe rinunciare ad azioni militari o diplomatiche per riconquistare i territori occupati, senza però riconoscere la sovranità russa sulle stesse aree.

È chiaro che un compromesso del genere, se mai fosse seriamente sul tavolo, innescherebbe forti tensioni all’interno dell’Ucraina, dove il consenso sull’idea di cedere porzioni di territorio in cambio della pace è tutt’altro che scontato.

Allo stesso tempo, però, la percezione che la finestra temporale per giungere a un accordo si stia chiudendo è stata sottolineata in maniera drammatica anche dal capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, il quale, secondo l'Ukrayinska Pravda, avrebbe avvertito i deputati della Verkhovna Rada sulla necessità di trovare una soluzione negoziata prima dell’estate 2025.

Se i colloqui non dovessero avanzare in tempi rapidi, ha affermato, potrebbero emergere scenari “molto pericolosi” per la stessa sopravvivenza dell’Ucraina come Stato sovrano ed indipendente.

Trump tra pressioni interne e ambizioni internazionali

I messaggi contraddittori di Trump — minacce di imporre dazi e sanzioni pesantissime alla Russia se Putin rifiutasse di trattare, alternate a critiche verso Zelensky — rispecchiano le divisioni che sembrano attraversare la sua stessa Amministrazione.

Alcuni collaboratori propendono per una linea più dura verso Mosca, altri invece reputano essenziale non “umiliare” Putin per non spingerlo a un’escalation ancora più violenta.

Per ora, ciò che è certo è la volontà di Trump di assumere un ruolo da protagonista assoluto nel tentativo di mediazione, come testimonia l’incarico affidato al suo inviato speciale in Ucraina, Keith Kellogg, a cui ha chiesto di chiudere la partita bellica entro 100 giorni.

In termini pratici, si tratta però di una corsa contro il tempo di cui quasi nessun osservatore si dice particolarmente ottimista.

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