Trump dice di poter annullare leggi approvate dal Congresso
In una lettera inviata alle aziende tecnologiche, l’amministrazione Trump ha sostenuto che il presidente può autorizzare comportamenti vietati dalla legge se ritiene che ostacolino le sue prerogative costituzionali in materia di sicurezza nazionale e affari esteri

Dei documenti recentemente resi pubblici mostrano che l’amministrazione Trump ha giustificato la decisione di sospendere il divieto imposto a TikTok negli Stati Uniti sostenendo che il presidente ha il potere costituzionale di annullare l’applicazione di leggi approvate dal Congresso. Le lettere, firmate dalla procuratrice generale Pam Bondi e inviate a diverse aziende tecnologiche tra cui Apple e Google, dichiarano che il presidente ha stabilito che la chiusura della piattaforma avrebbe interferito con i suoi “doveri costituzionali” in ambito di sicurezza nazionale e politica estera.
Questa tesi, rivelata grazie a cause legali fondate sul Freedom of Information Act, ha sollevato serie preoccupazioni tra esperti legali, che la considerano una delle più marcate affermazioni di potere esecutivo avanzate da Donald Trump nei primi mesi del suo secondo mandato. Il Congresso aveva approvato nel 2024, con maggioranze bipartisan, una legge che vietava TikTok a meno che la sua casa madre cinese, ByteDance, non la vendesse a un’impresa non cinese. La Corte Suprema aveva poi confermato all’unanimità la validità della norma.
Eppure, già nel giorno del suo insediamento, Trump ha ordinato al Dipartimento di Giustizia di sospendere l’applicazione del divieto per 75 giorni, estendendo successivamente questa moratoria. Secondo quanto scritto da Bondi, la decisione del presidente comporta non solo la sospensione dell’esecuzione della legge, ma la sua sostanziale neutralizzazione: le aziende che forniscono servizi a TikTok “non hanno violato alcuna norma” e “non incorrono in alcuna responsabilità giuridica”, nemmeno in futuro.
Per Alan Z. Rozenshtein, docente di diritto all’Università del Minnesota, questa è una “clamorosa” violazione dell’articolo II della Costituzione, che impone al presidente di garantire l’esecuzione delle leggi. Mentre altri presidenti, come Obama, hanno fatto uso del potere discrezionale nel far rispettare le leggi — ad esempio proteggendo temporaneamente alcuni immigrati irregolari — nessuno aveva mai affermato che un’azione in violazione della legge fosse da considerarsi legittima, né aveva rinunciato irrevocabilmente a perseguirla, come invece affermato da Bondi nelle sue lettere.
L’elenco delle aziende che hanno ricevuto queste comunicazioni include, oltre ad Apple e Google, anche Akamai, Amazon, Digital Realty Trust, Fastly, LG Electronics USA, Microsoft, Oracle e T-Mobile, tutte coinvolte in vario modo nel supporto infrastrutturale a TikTok.
Secondo Zachary S. Price, docente di diritto all’Università della California a San Francisco ed esperto di limiti del potere esecutivo, il comportamento dell’amministrazione Trump rappresenta “un colpo durissimo al processo politico”. A differenza delle flessibilità applicative adottate da precedenti amministrazioni, l’azione di Trump “fa saltare l’intera legge”, eliminandola di fatto. Anche Jack Goldsmith, professore ad Harvard ed ex alto funzionario del Dipartimento di Giustizia durante la presidenza Bush, ha affermato che nessun presidente recente ha mai sospeso interamente l’applicazione di una legge, né ha fornito immunità preventiva a chi la viola.
Goldsmith ha richiamato una sentenza della Corte Suprema del 1838, secondo cui il presidente non ha il potere di sospendere le leggi: un potere che, in passato, spettava ai monarchi britannici ma che la Costituzione statunitense ha esplicitamente negato.
Il Dipartimento di Giustizia non ha rilasciato commenti. Anche Apple e Alphabet, società madre di Google, non hanno risposto alle richieste. Dopo l’approvazione della legge nel 2024, TikTok era temporaneamente scomparsa dagli app store statunitensi, ma è tornata disponibile dopo il congelamento imposto da Trump.
La legge prevedeva sanzioni pecuniarie fino a 5.000 dollari per ogni utente in caso di violazione. Secondo il Pew Research Center, circa un terzo degli statunitensi ha utilizzato TikTok.
L’origine della pubblicazione delle lettere risiede in due cause distinte fondate sul Freedom of Information Act: una del New York Times, l’altra presentata dal programmatore Tony Tan, che ha ricevuto una versione più completa della corrispondenza inviata da Bondi. Tan ha inoltre citato in giudizio Alphabet per ottenere documenti interni sulle decisioni legate alla reintroduzione di TikTok negli app store.
Alcuni parlamentari democratici, pur contrari al divieto su TikTok, hanno criticato l’atteggiamento dell’amministrazione, sostenendo che ignorare una legge federale senza fondamento legale rappresenti una violazione grave del sistema costituzionale. A marzo avevano chiesto alla Casa Bianca di sostenere un provvedimento legislativo che autorizzasse formalmente un rinvio dell’applicazione.
Il 29 giugno, Trump ha dichiarato in un’intervista che era stato trovato un acquirente per TikTok, ma che l’operazione doveva ancora essere approvata da Xi Jinping. La Casa Bianca aveva parlato di una trattativa imminente già ad aprile, ma questa sarebbe naufragata dopo l’introduzione di nuovi dazi contro la Cina.
Secondo il professor Price, le lettere inviate alle aziende oltrepassano la linea costituzionale: “I presidenti non hanno il potere di modificare le leggi”, ha dichiarato. “È questa la soglia oltrepassata dall’ordine su TikTok e dalle lettere: pretendono di legalizzare comportamenti che la legge definisce illegali.”