Trump condannato in appello a pagare 83 milioni di dollari a Carroll per diffamazione
Una corte d’appello di New York ha confermato la sentenza che impone al presidente statunitense di risarcire l’autrice, accusatrice di violenza sessuale negli anni ’90. La condanna riguarda dichiarazioni diffamatorie pronunciate da Trump.

Una corte d’appello federale di New York ha confermato, lunedì 8 settembre, la condanna inflitta a Donald Trump: il presidente americano dovrà versare 83,3 milioni di dollari, circa 70 milioni di euro, all’autrice Elizabeth Jean Carroll. La decisione chiude l’appello contro la sentenza del gennaio 2024, in cui un tribunale aveva stabilito che Trump l’aveva diffamata dopo che lei lo aveva accusato di violenza sessuale.
La vicenda risale agli anni ’90, quando Carroll, allora giornalista e cronista per l’edizione americana del magazine Elle, sostenne di essere stata violentata da Trump nel 1996 in una cabina di un grande magazzino di New York. L’accusa di stupro fu resa pubblica nel 2019, mentre una successiva causa civile intentata nel 2022 portò nel maggio 2023 a una prima condanna: Trump fu dichiarato responsabile di aggressione sessuale e diffamazione e condannato a risarcire Carroll con 5 milioni di dollari.
Il processo del gennaio 2024 ha avuto un esito molto più pesante. Un collegio di nove giurati ha imposto un risarcimento di 83,3 milioni di dollari, di cui ben 65 milioni come danni “punitivi”, una cifra ben superiore ai 10 milioni richiesti inizialmente dalla querelante. L’obiettivo, secondo i giudici, era impedire che Trump continuasse a diffamare Carroll.
La corte d’appello ha confermato questa linea, definendo “ragionevole” l’entità della somma, considerate le circostanze “straordinarie e scioccanti” del caso. I giudici hanno precisato che la decisione del primo collegio era legittima, in quanto Trump non avrebbe smesso di attaccare Carroll senza una sanzione economica significativa.
Durante il processo, infatti, Trump aveva più volte insultato Carroll pubblicamente, in particolare attraverso il suo social Truth Social. L’aveva accusata di essersi inventata “una falsa storia alla Monica Lewinsky” con l’obiettivo di “estorcere” denaro, definendola “tarata”, “malata” e autrice di una “storia bidonata”. Nel corso della procedura legale del 2022, aveva anche sostenuto di non averla mai vista prima.
Trump era stato autorizzato a difendersi brevemente davanti ai giudici, ma la corte aveva posto limiti rigidi alle sue dichiarazioni per evitare ulteriori diffamazioni. L’allora candidato repubblicano aveva comunque trasformato il processo in una tribuna politica, denunciando quella che definiva una “caccia alle streghe” orchestrata dai democratici e dall’allora presidente Joe Biden.
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