Trump cambia strategia sull'Iran e usa l'attacco israeliano come leva negoziale

Il presidente americano è passato in una settimana dal tentativo di frenare Israele all'utilizzo dei bombardamenti come strumento di pressione su Teheran per ottenere un accordo sul nucleare.

Trump cambia strategia sull'Iran e usa l'attacco israeliano come leva negoziale

Il presidente Donald Trump ha modificato la sua posizione sul conflitto tra Israele e Iran nell'arco di una sola settimana, trasformando quello che inizialmente era un tentativo di contenimento in una strategia di pressione attraverso la forza. Il 15 giugno Trump ha pubblicato un nuovo commento sulla guerra in corso tra i due Paesi sul suo account Truth Social, ribadendo che Washington non ha alcun legame con l'attacco alla Repubblica Islamica, ma avvertendo allo stesso tempo Teheran:

"Se l'Iran ci colpirà in qualsiasi modo e forma, tutta la forza e la potenza delle Forze Armate statunitensi si abbatterà su di voi in una scala mai vista prima".

Il presidente ha anche ricordato che l'Iran ha ancora la possibilità di concludere un accordo, ovvero rinunciare allo sviluppo di armi nucleari, e "porre fine a questo sanguinoso conflitto". Questo messaggio ha completato un quadro contraddittorio del coinvolgimento di Washington nella nuova grande guerra in Medio Oriente.

L'evoluzione della strategia americana

Lo scorso 8 giugno, durante un incontro con il team di consiglieri per la sicurezza nazionale nella residenza di Camp David, il presidente americano, pur esprimendo scetticismo sulla disponibilità di Teheran a raggiungere un accordo nucleare, aveva dichiarato l'intenzione di convincere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a rinunciare ai bombardamenti fino a quando l'inviato speciale americano per il Medio Oriente Steve Witkoff non avesse esaurito le possibilità di risoluzione diplomatica.

Netanyahu, tuttavia, in una conversazione telefonica con Trump del giorno seguente non ha accettato la proposta di rinviare il piano d'attacco. Durante la loro successiva conversazione del 12 giugno, il premier israeliano ha ricordato al presidente americano che il 13 giugno sarebbe scaduto il termine di 60 giorni per concludere un accordo, stabilito dallo stesso leader leader americano in una lettera di marzo all'ayatollah Ali Khamenei.

Israele, ha dichiarato Netanyahu, non poteva più aspettare e doveva difendersi, soprattutto considerando che Teheran stesso aveva fatto saltare la scadenza fissata da Trump. Il presidente americano ha risposto che Washington in ogni caso non avrebbe ostacolato Israele nell'operazione, ma non avrebbe impiegato i propri militari in alcuna operazione offensiva.

Poco dopo la conversazione tra Trump e Netanyahu, nella notte del 13 giugno, Israele ha colpito l'Iran. L'inizio dell'operazione ha sorpreso Trump durante un picnic per i membri del Congresso nel cortile della Casa Bianca. Insieme al vicepresidente J.D. Vance, al Segretario di Stato Marco Rubio e ai vertici del Pentagono e di altri dipartimenti militari, si è rapidamente trasferito nella Situation Room per monitorare gli sviluppi. Il primo commento di Washington è stata una dichiarazione di Rubio secondo cui Israele agiva di propria iniziativa, pur avendo avvertito in anticipo le autorità americane degli attacchi.

Le pressioni israeliane per un coinvolgimento diretto

Già il 13 giugno Trump ha iniziato a esortare l'Iran a non rinunciare ai negoziati per un accordo, ma ora da una posizione di forza: nei suoi commenti il presidente americano ha sottolineato che il rifiuto dell'accordo creerebbe una minaccia esistenziale per Teheran e che dovrebbe fare un passo indietro nei negoziati, altrimenti dell'infrastruttura nucleare del paese "non rimarrà più nulla".

Ma non è finita qui. Secondo quanto riportato da Axios, le autorità israeliane negli ultimi due giorni stanno conducendo un'attiva campagna di lobbying per cercare di coinvolgere Washington nella guerra contro l'Iran. Due alti funzionari israeliani hanno spiegato alla testata che per colpire efficacemente l'infrastruttura nucleare iraniana, in particolare il complesso di arricchimento dell'uranio a Fordow, Israele ha bisogno di potenti munizioni capaci di colpire obiettivi situati in profondità sottoterra. Tali armi, così come i bombardieri necessari per lanciarli, sono disponibili solo nell'arsenale del Pentagono.

Non è ancora chiaro se Israele riuscirà davvero a convincere Trump. Anche il bombardamento di un solo obiettivo da parte dei militari americani significherebbe un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra, cosa che il presidente Trump intende ancora evitare come sottolinea Axios.

Allo stesso tempo, il mantenimento del complesso di Fordow in condizioni operative non permetterebbe a Israele di raggiungere l'obiettivo dichiarato di "azzerare" il programma iraniano di sviluppo della bomba nucleare. Una fonte di Axios ha notato che Trump avrebbe "suggerito" in una delle recenti conversazioni con Netanyahu che gli Stati Uniti potrebbero comunque unirsi all'operazione "se necessario".

Informazioni simili sono state diffuse anche dal giornalista Amit Segal, vicino all'entourage del premier israeliano. Secondo le sue fonti tra gli alti funzionari israeliani, la probabilità che gli Stati Uniti aiutino il loro alleato a colpire Fordow è "significativa".

La risposta iraniana e le posizioni degli esperti

L'Iran, dal canto suo, già il 14 giugno attraverso i media statali ha diffuso minacce contro Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia: le basi militari dei Paesi occidentali in Medio Oriente potrebbero essere attaccate se si unissero agli attacchi contro la repubblica islamica.

Il 15 giugno il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha rilasciato una dichiarazione più ponderata, sottolineando che Teheran è convinta del coinvolgimento dei militari americani nella pianificazione dell'attacco contro il suo Paese, ma ha lasciato intendere che le autorità della Repubblica Islamica sono ancora pronte al dialogo con gli Stati Uniti sul loro programma nucleare.

Il The New York Times ha analizzato le prospettive di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in corso. La prestigiosa testata ha considerato "artificiosa" l'argomentazione di Trump riguardo ai potenziali benefici degli attacchi all'Iran sotto forma di costrizione delle autorità del Paese a un compromesso sull'accordo nucleare.

Il presidente americano si è anzi imbarcato in una "grande avventura", ha commentato per la testata l'ex decano della Scuola di Studi Avanzati dell'Università Johns Hopkins Vali Nasr, che durante l'amministrazione Barack Obama lavorava al Dipartimento di Stato:

"Se gli Stati Uniti si trovassero coinvolti nella guerra, verrebbe ridisegnata tutta la mappa geopolitica, da Parigi a Mosca e da Washington a Pechino".

Secondo l'esperto, il compito chiave di Trump oggi è prevenire l'escalation, non alimentare il conflitto. Per questo deve fare pressioni non solo sull'Iran, ma anche su Israele, che sta considerando uno scenario di operazione a lungo termine contro Teheran. Nasr ha ricordato che Trump era arrivato al potere per il secondo mandato come uomo di pace, promettendo di concludere la guerra russo-ucraina e di non scatenarne di nuove:

"Ora invece si sta facendo trascinare in un conflitto che non voleva, su una questione che occupa il terzo o quarto posto nella sua lista di priorità di politica estera".

La guerra tra Iran e Israele è svantaggiosa per gli Stati Uniti anche per ragioni economiche: il panico sui mercati azionari e l'impennata dei prezzi del petrolio potrebbero rappresentare uno shock per gli investitori, già diffidenti verso Trump a causa della sua imprevedibile politica sui dazi. Il conflitto solleva infine questioni di fiducia nel dialogo di Washington con i suoi alleati mediorientali: questa volta anche i paesi del Golfo Persico ostili all'Iran stavolta non hanno sostenuto l'attacco preventivo di Israele contro la Repubblica Islamica.

Focus America non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.