Scienziata russa dissidente rischia l’espulsione dagli Stati Uniti per embrioni di rana non dichiarati
Le autorità statunitensi hanno annullato il visto di Ksenia Petrova, ricercatrice alla Harvard Medical School, dopo il ritrovamento di campioni biologici non dichiarati nel suo bagaglio. La scienziata teme conseguenze politiche in patria per le sue posizioni critiche sulla guerra in Ucraina.

Ksenia Petrova, ricercatrice russa impiegata presso la Harvard Medical School, è stata fermata il 16 febbraio scorso all’aeroporto di Boston, al suo rientro da un viaggio in Francia.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Agenzia, le autorità statunitensi hanno disposto la revoca del suo visto dopo aver scoperto nel bagaglio della scienziata alcuni campioni di embrioni di rana non dichiarati.
La notizia ha iniziato a circolare grazie a una segnalazione pubblicata su Facebook da un’amica della ricercatrice, Cora Anderson, e successivamente ripresa dai media russi, tra cui il quotidiano indipendente Mediazona.
Anderson ha riferito che, al momento del controllo doganale, alla Petrova è stato comunicato che sarebbe stata rimpatriata in Russia.
Secondo la ricostruzione fornita da un collega della scienziata a Mediazona, Petrova stava trasportando “una scatola imponente con diversi blocchi refrigeranti, chiaramente impossibile da nascondere”, contenente campioni biologici utilizzati per le sue ricerche.
Il collega ha ipotizzato che l’errore possa essere stato causato da una dichiarazione doganale incompleta o sbagliata, senza intento fraudolento.
Ha inoltre sottolineato che, in base alla normativa statunitense, una simile infrazione comporterebbe al massimo una sanzione amministrativa di 500 dollari, poiché i campioni conservati in formalina non sarebbero né tossici né pericolosi.
Dopo il fermo, la ricercatrice è stata inizialmente trasferita in un centro per migranti nello Stato del Vermont, per poi essere spostata in Louisiana, dove si trova attualmente.
Secondo quanto riferito da Anderson, Ksenia Petrova è detenuta in una stanza condivisa con altre 80 donne.
La scienziata si è affidata a un avvocato per avviare le procedure volte a ottenere un nuovo visto, ma i tempi si preannunciano lunghi e incerti.
Il caso ha suscitato preoccupazione tra amici e colleghi della ricercatrice, che hanno avviato una raccolta fondi per sostenere le spese legali e fornire supporto durante la sua permanenza forzata nei centri di detenzione.
Alcuni di loro contestano le modalità con cui le autorità americane hanno gestito l’intera vicenda, sostenendo che la sanzione sia stata sproporzionata rispetto all’infrazione commessa.
Oltre agli aspetti procedurali, emergono timori legati alla sicurezza personale della scienziata.
Secondo quanto riportato da Mediazona, Petrova aveva espresso posizioni pubblicamente contrarie all’invasione russa dell’Ucraina, firmando una petizione per chiedere le dimissioni del presidente Vladimir Putin e condividendo online contenuti di protesta.
Alla luce di queste posizioni, la ricercatrice ha manifestato la preoccupazione di poter essere oggetto di ritorsioni una volta rientrata in patria.
Il quotidiano The Guardian sottolinea come gli Stati Uniti abbiano ripreso, nel 2023, le procedure di espulsione verso la Russia, interrotte nei mesi successivi all’inizio della guerra in Ucraina.
Tra i casi citati, quello di un cittadino russo che aveva tentato di ottenere asilo dopo aver eluso la mobilitazione militare, entrando nel paese dal confine messicano.