Quando Franklin D. Roosevelt nazionalizzò l’oro degli americani
Nel 1934, il presidente degli Stati Uniti impose ai cittadini di consegnare il loro oro per ricostituire le riserve della Federal Reserve, nel tentativo di rilanciare l'economia nazionale.

Il valore rifugio dell’oro appare oggi più evidente che mai, ma il metallo prezioso non è mai stato completamente al riparo dalle decisioni politiche. L’esempio più emblematico risale al 1934, quando il presidente Franklin D. Roosevelt decise di rafforzare le riserve d’oro della Federal Reserve.
Il 5 aprile 1933, Roosevelt firmò il decreto presidenziale 6102, con cui, invocando una «grave emergenza», vietava il possesso di monete d’oro, lingotti d’oro e certificati di deposito d’oro oltre un limite di 100 dollari per persona (equivalenti oggi a circa 2.500 dollari, ovvero circa 2.200 euro), pari a circa 5 once (156 grammi). Gli americani che superavano tale soglia dovevano consegnare l’oro entro il 1º maggio presso gli sportelli delle banche o quelli della Federal Reserve.
La misura fu adottata in un contesto di estrema urgenza: poche settimane prima, il 6 marzo, appena trentasei ore dopo il suo insediamento, Roosevelt aveva ordinato la chiusura temporanea delle banche per una settimana. L'obiettivo era prevenire un massiccio ritiro di depositi e la loro conversione in oro, rischio che avrebbe potuto svuotare rapidamente le riserve della banca centrale.
Il decreto 6102 prevedeva alcune eccezioni, consentendo la detenzione di oro destinato a usi professionali (ad esempio per gioiellieri, artisti e dentisti) e per monete da collezione o medaglie. Chiunque non avesse rispettato l’ordine rischiava una multa di 10.000 dollari e una pena detentiva fino a dieci anni. In cambio della restituzione, l'oro veniva acquistato dalla Federal Reserve al prezzo di 20,67 dollari l'oncia.
Nonostante le critiche e i ricorsi presentati inutilmente in tribunale, il decreto consentì alla banca centrale di recuperare, secondo stime mai ufficialmente confermate, tra alcune decine e alcune centinaia di tonnellate d’oro. Questa operazione rappresentò una delle principali motivazioni alla base della costruzione, nel 1935, del deposito di Fort Knox, nel Kentucky, destinato a custodire parte delle nuove riserve.
Secondo i detrattori, l'iniziativa fu una vera e propria "confisca". Tuttavia, il vero obiettivo della misura, adottata quattro anni dopo l’inizio della Grande Depressione, era quello di aumentare la massa monetaria per stimolare la ripresa economica. All’epoca, infatti, la Federal Reserve poteva emettere nuovi dollari solo se garantiti per almeno il 40% da riserve auree.
Nel gennaio 1934, il Gold Reserve Act trasferì ufficialmente le riserve d’oro dalla banca centrale al Tesoro statunitense, autorizzando il presidente a stabilire autonomamente il tasso di cambio tra il dollaro e l’oro. Roosevelt decise poco dopo di fissare la parità a 35 dollari l’oncia, provocando una svalutazione del dollaro e aumentando immediatamente del 69% il valore delle riserve auree. Questa rivalutazione permise alla banca centrale di ampliare l'offerta di moneta.
L’intervento di Roosevelt rimane uno degli esempi più emblematici della capacità dei governi di influenzare drasticamente il mercato dell’oro e la politica monetaria, con effetti duraturi sull’economia nazionale e internazionale.