Quando Churchill diventa il “vero cattivo”: la nuova deriva revisionista negli Stati Uniti
Una narrazione revisionista si diffonde negli Stati Uniti, promossa da figure vicine al presidente Trump, che rivaluta il ruolo di Hitler e attacca Winston Churchill, descritto come artefice della guerra e del declino dell’Occidente.
Negli Stati Uniti una nuova forma di revisionismo storico sta guadagnando terreno attribuendo a Winston Churchill la responsabilità principale della seconda guerra mondiale. Un’interpretazione fino a poco tempo fa relegata ai margini di Internet si è ora fatta strada in programmi seguiti da milioni di ascoltatori e nei circuiti vicini al presidente Trump.
Le tesi sono emerse in particolare nel corso di un episodio del Tucker Carlson Show, pubblicato il 2 settembre 2024. Ospite dell’ex giornalista di Fox News è stato Darryl Cooper, autore del podcast Martyr Made, descritto da Carlson come “il più onesto storico popolare degli Stati Uniti”. Durante l’intervista, Cooper ha sostenuto che Churchill sarebbe stato “il vero cattivo della seconda guerra mondiale”, un uomo bellicoso la cui decisione di entrare in guerra contro la Germania avrebbe causato milioni di morti. Ha inoltre minimizzato la natura genocidaria dei campi di sterminio nazisti, attribuendoli a un presunto collasso logistico della Wehrmacht, incapace – secondo Cooper – di gestire l’alto numero di prigionieri.
Queste affermazioni, presentate senza contraddittorio da Carlson, sono parte di un discorso più ampio che mira a rovesciare la narrativa consolidata del secondo dopoguerra. L’influenza del podcast è stata immediata: il numero di abbonati a Martyr Made è aumentato di oltre 250.000 unità, mentre tra i 350.000 follower su X di Darryl Cooper c'è anche il vicepresidente degli Stati Uniti, J. D. Vance.
La reazione è stata forte. Il memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme e la Casa Bianca, ancora sotto la presidenza di Joe Biden all’epoca della trasmissione, hanno espresso indignazione. Anche alcuni ambienti del conservatorismo tradizionale statunitense si sono dissociati. Il Churchill Project dell’università Hillsdale, istituzione privata del Michigan, ha smentito punto per punto le affermazioni di Cooper. Primo fra tutti, il fatto che Churchill non era primo ministro quando il Regno Unito dichiarò guerra alla Germania nel 1939: il capo del governo era allora Neville Chamberlain.
Il fenomeno, però, va oltre la figura di Churchill. Secondo lo storico tedesco Thomas Weber, si tratta di un “sacrificio rituale” di un’icona del vecchio Partito Repubblicano. Churchill incarnava l’idea di leadership, la resistenza alla tirannia e l’alleanza tra democrazie occidentali: valori che gli esponenti della nuova destra trumpista disprezzano apertamente. George W. Bush, presidente dal 2001 al 2009, aveva voluto un busto di Churchill nello Studio Ovale. Ma già nel 2008 il giornalista paleoconservatore Pat Buchanan scriveva un saggio – Churchill, Hitler and the Unnecessary War – per accusare Churchill di aver provocato due guerre mondiali disastrose per l’Occidente.
Oggi questa corrente trova nuova linfa in una galassia che il giornalista conservatore Sohrab Ahmari ha definito “la destra barbara”. Una rete di influenza che mescola razzismo pseudoscientifico, culto della forza e apologia del nazismo. Ahmari osserva che questa destra “detesta il conservatorismo ragionevolmente egalitario dell’epoca postbellica” e vuole distruggere l’ordine democratico statunitense nato dalla vittoria contro il nazifascismo.
Una delle voci più estreme è quella dell’influencer suprematista Andrew Tate, che rimprovera alla seconda guerra mondiale di aver stabilito una concezione morale binaria tra bene e male, impedendo oggi ai bianchi – a suo dire – di “difendersi”. Secondo Tate, la demonizzazione di Hitler servirebbe a impedire il ritorno del nazionalismo bianco, mentre Stalin sarebbe ignorato perché “stava dalla nostra parte”.
Queste provocazioni non sono incidenti isolati. Thomas Weber sottolinea che esse funzionano come “gesti simbolici di sfida” contro le istituzioni, l’università, i democratici e lo stato profondo. Se da un lato superano le posizioni pubbliche del presidente Trump, dall’altro prosperano in un contesto che lo stesso Trump ha contribuito a creare, dove il disprezzo per la conoscenza storica è normalizzato.
Il presidente americano ha più volte mostrato disinteresse o ostilità verso la memoria storica. Durante la sua prima campagna elettorale, aveva deriso il senatore John McCain, veterano della guerra del Vietnam, definendolo un “perdente” per essersi fatto catturare. In un’intervista del 1997, Trump aveva paragonato le sue relazioni sessuali non protette al proprio “Vietnam personale”, mentre nel 2018 si era rifiutato di visitare il cimitero americano del Bois-Belleau in Francia, definendolo “pieno di perdenti”.
Dal suo ritorno alla Casa Bianca nel gennaio 2025, Trump ha nominato nel suo entourage figure che hanno ripetutamente rilanciato messaggi antisemiti e simboli suprematisti. Il suo vicepresidente J. D. Vance, il segretario di Stato Marco Rubio e il finanziatore della campagna elettorale Elon Musk hanno espresso sostegno all’Alternative für Deutschland (AfD), primo partito tedesco revisionista e xenofobo ad entrare in massa al Bundestag dal dopoguerra.
Il 27 marzo, Trump ha firmato un decreto intitolato “Ristabilire verità e ragione nella storia americana”, che si propone di combattere qualsiasi ideologia ritenuta “antiamericana”. Una dichiarazione che si inserisce in una più ampia offensiva culturale volta a riscrivere la storia secondo una nuova narrazione identitaria e isolazionista, orientata a disconoscere il lascito del secondo dopoguerra e a delegittimare l’ordine democratico internazionale che ne è scaturito.