Perché Trump ha rotto con Netanyahu sulla crisi umanitaria a Gaza
Il presidente vuole la fine della guerra e accusa il primo ministro israeliano di ostacolare un cessate il fuoco. Le tensioni crescono tra i due alleati storici, ma la linea politica degli Stati Uniti non cambia

Nelle ultime settimane, il presidente Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono scambiati gesti di sostegno simbolico. Trump ha duramente criticato i procuratori che stanno processando Netanyahu per corruzione, mentre quest’ultimo ha proposto il presidente statunitense per il Premio Nobel per la pace. Ma questi gesti non sono bastati a mascherare un dissidio più profondo, acuito dalla carestia nella Striscia di Gaza, dai bombardamenti israeliani in Siria e dal mancato accordo per un cessate il fuoco con Hamas.
Trump ha rotto pubblicamente e ripetutamente con Netanyahu, criticando le sue dichiarazioni volte a minimizzare la crisi alimentare in corso a Gaza. Scosso dalle immagini di bambini malnutriti, il presidente ha inviato il suo emissario diplomatico Steve Witkoff per spingere Israele ad allentare la pressione sulla popolazione civile. La Casa Bianca è stata anche colta di sorpresa dai raid israeliani in Siria e da un attacco missilistico che ha colpito l’unica chiesa cattolica di Gaza.
Due funzionari dell’amministrazione, rimasti anonimi per la delicatezza delle informazioni, hanno detto all'Atlantic che Trump è ormai convinto, come molti a Washington, che Netanyahu stia prolungando il conflitto per convenienza politica, ignorando la volontà del presidente di porre fine alla guerra. Secondo questa lettura, gli obiettivi militari di Israele a Gaza sarebbero stati già raggiunti, ma l’operazione militare continua per rafforzare la posizione interna del primo ministro. Trump e alcuni suoi consiglieri ritengono che Netanyahu stia sabotando ogni possibilità di accordo sul cessate il fuoco.
Nonostante queste frizioni, non si registrano cambiamenti rilevanti nella politica estera statunitense. Trump continua ad attribuire ad Hamas la responsabilità del fallimento dei negoziati e ha evitato di unirsi a Francia e Regno Unito, che hanno minacciato di riconoscere uno Stato palestinese se Israele non migliorerà la situazione umanitaria e non si impegnerà in un processo di pace. Un funzionario della Casa Bianca ha dichiarato che “non c’è una rottura significativa” tra i due leader, e che “tra alleati ci possono essere disaccordi, anche forti”.
In un tentativo di stemperare le tensioni, questa mattina Trump ha scritto su Truth Social: “Il modo più veloce per porre fine alla crisi umanitaria a Gaza è che Hamas si arrenda e liberi gli ostaggi!!!”.
I rapporti tra i due leader sono da tempo altalenanti. Durante il primo mandato di Trump, i due erano molto vicini, ma la relazione si è incrinata quando Netanyahu ha riconosciuto la vittoria elettorale di Joe Biden nel 2020. Negli ultimi mesi, Netanyahu è stato ricevuto tre volte alla Casa Bianca, ma Trump ha evitato di visitare Israele durante il suo recente viaggio in Medio Oriente.
La carestia a Gaza ha rappresentato un nuovo punto di frizione. A marzo, Israele ha imposto un blocco completo sulla Striscia, già duramente colpita da oltre venti mesi di guerra, impedendo l’ingresso di cibo e aiuti. Le organizzazioni umanitarie hanno lanciato l’allarme carestia, soprattutto tra i bambini. Netanyahu ha recentemente autorizzato l’ingresso di parte degli aiuti, ma continua a sostenere che “non c’è fame” a Gaza. Trump ha messo in discussione questa versione durante una conferenza stampa in Scozia: “Guardando la televisione, direi di no, quei bambini sembrano molto affamati”, ha affermato. E ha aggiunto: “Quella è vera fame. Lo vedo, e non si può fingere”.
Non è la prima volta che Trump reagisce in modo emotivo a immagini cruente: nel 2017 ordinò un attacco missilistico in Siria dopo aver visto le foto di bambini uccisi da armi chimiche. Episodi simili si sono verificati di recente con immagini provenienti dall’Ucraina. Questa settimana, due fonti dell’amministrazione hanno riferito che Trump è stato colpito anche dalle foto di un attacco russo a una casa di riposo a Kiev.
L’insoddisfazione di Trump per la guerra in Ucraina sta influenzando anche la sua reazione al conflitto a Gaza. Durante la campagna elettorale del 2024, il presidente aveva promesso la fine rapida dei conflitti internazionali. Invece, entrambi – quello in Ucraina e quello a Gaza – si sono aggravati, mettendo in crisi la sua narrazione. Putin ha disatteso le sue richieste di cessate il fuoco, al punto che Trump ha annunciato l’intenzione di imporre sanzioni se la guerra non verrà interrotta entro dieci giorni. In parallelo, Netanyahu continua a respingere le accuse sulla crisi umanitaria e a intensificare le operazioni militari in Siria.
Due ulteriori funzionari statunitensi hanno indicato che la disponibilità di Trump a criticare Netanyahu non deriva tanto da una rottura personale quanto da una riaffermazione dell’approccio “America First”: gli Stati Uniti non intendono farsi dettare la politica estera da Israele. Trump rifiuta la versione israeliana sulla situazione a Gaza e sul nuovo governo siriano. L’inviato Steve Witkoff ha ricevuto l’incarico di valutare in prima persona le condizioni umanitarie e l’efficacia della Gaza Humanitarian Foundation, un’organizzazione americana creata quest’anno per distribuire cibo nella Striscia.
All’interno dell’amministrazione si discute la possibilità di aumentare drasticamente la quantità di aiuti ammessi a Gaza, nella convinzione che, anche se una parte venisse intercettata da Hamas, una quota sufficiente arriverebbe comunque alla popolazione civile. Si valuta anche di esercitare pressioni sull’esercito israeliano per evitare vittime tra i civili.
Di fronte alle crescenti critiche a Netanyahu, alcuni esponenti del suo governo cercano di rafforzare l’alleanza con Trump. Ron Dermer, ministro per gli affari strategici israeliano, ha sostenuto in un’intervista podcast che l’importanza di Israele per la sicurezza americana è destinata a crescere, in un momento in cui Washington vuole ridurre la propria presenza militare in Medio Oriente e concentrarsi sul confronto con la Cina.
Secondo uno dei funzionari statunitensi, la frustrazione di Trump è rivolta più a Hamas che a Netanyahu. Il presidente continua a ritenere Hamas responsabile dell’inizio del conflitto e appoggia l’obiettivo israeliano di eliminare il gruppo, al punto da proporre la ricostruzione della Striscia come una “Riviera del Medio Oriente”. Alla proposta britannica di riconoscere lo Stato palestinese, Trump ha risposto che significherebbe “premiare Hamas”. Solo una settimana fa, dopo un colloquio con Netanyahu, ha ribadito che Israele deve “finire il lavoro” e “liberarsi di Hamas”.
Trump, tuttavia, vuole la fine della guerra. È consapevole del malcontento crescente tra i suoi sostenitori non interventisti, contrari al coinvolgimento degli Stati Uniti in un conflitto distante. Lunedì, la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene ha definito la situazione a Gaza un “genocidio”, diventando la prima del suo partito a usare questo termine. Anche Steve Bannon e Tucker Carlson hanno espresso forti critiche a Israele. Trump teme di alienarsi il sostegno della base, già in parte contrariata per l’attacco all’Iran di giugno e per la gestione del caso Jeffrey Epstein, che ha travolto la Casa Bianca. La reazione negativa di parlamentari e influencer al suo invito a “chiudere” lo scandalo ha colto Trump di sorpresa.