Perché Musk ha rotto con Trump
Il patron di Tesla ha definito la riforma fiscale voluta da Trump una “abominazione disgustosa”. A pesare sarebbero state decisioni della Casa Bianca che hanno danneggiato i suoi interessi aziendali e ridimensionato il suo ruolo politico.

L’attacco di Elon Musk contro il “Big Beautiful Bill” voluto dal presidente Donald Trump ha avuto un’eco mediatica immediata per i toni inusuali. Ma al di là delle parole, le ragioni che hanno spinto il patron di Tesla e SpaceX a scagliarsi pubblicamente contro un testo sostenuto dal Partito Repubblicano – e fino a pochi giorni prima da lui stesso solo blandamente criticato – sono più profonde e legate a una serie di tensioni accumulate nel tempo tra Musk e l’amministrazione.
Secondo quanto riportato i media americani, il malcontento di Musk è il frutto di almeno quattro episodi che hanno minato progressivamente il suo rapporto privilegiato con Trump e con i centri decisionali della Casa Bianca. Il primo è di natura economica: il disegno di legge prevede l’eliminazione del credito d’imposta per i veicoli elettrici, un beneficio fiscale cruciale per produttori come Tesla. A conferma della posta in gioco, la società aveva speso almeno 240.000 dollari in attività di lobbying sul tema solo fino ad aprile. Fonti interne riferiscono che Musk aveva cercato, anche attraverso canali non pubblici, di preservare la misura, ma senza successo.
Il secondo punto di attrito riguarda lo status politico di Musk all’interno della macchina federale. Fino alla fine di maggio, l’imprenditore ricopriva il ruolo di “dipendente speciale del governo”, una posizione consultiva e non retribuita, soggetta per legge a un limite di 130 giorni. Musk avrebbe auspicato un’estensione del mandato, desiderando rimanere in una posizione d’influenza oltre il limite previsto. La Casa Bianca ha però rifiutato la proposta, tracciando un confine netto tra collaborazione e cooptazione istituzionale. Anche questo rifiuto, interpretato come un ridimensionamento personale, ha contribuito ad alimentare la frustrazione dell’imprenditore.
La terza controversia tocca un altro ambito di interesse diretto: il desiderio di Musk di far adottare il sistema satellitare Starlink per il controllo del traffico aereo statunitense. L’idea, se accolta, avrebbe rappresentato un successo strategico ed economico per la sua azienda. Ma l’amministrazione ha respinto la proposta, sollevando due obiezioni principali: da un lato l’apparenza di conflitto d’interessi, dall’altro le incertezze tecnologiche legate all’utilizzo esclusivo dei satelliti per una funzione così critica. “Non puoi far funzionare il controllo del traffico aereo solo tramite satelliti”, ha affermato una fonte a Axios, segnalando il giudizio tecnico negativo su un’infrastruttura giudicata ancora non affidabile per un compito del genere.
Infine, il quarto e forse più personale motivo di rottura è legato alla brusca revoca della candidatura di Jared Isaacman, imprenditore vicino a Musk e indicato da Trump come futuro amministratore della NASA. L’annuncio, arrivato il sabato precedente all’attacco via social, ha colto di sorpresa Musk. Subito si è diffusa la voce che dietro la scelta ci fosse Sergio Gor, direttore dell’Office of Presidential Personnel e protagonista in passato di scontri con Musk. Un funzionario della Casa Bianca ha interpretato l’episodio come una sorta di “vaffanculo di addio” da parte di Gor, ma due fonti interne all’amministrazione hanno negato questa ricostruzione, spiegando che alcuni senatori si erano opposti alla nomina di Isaacman per i suoi trascorsi da donatore democratico. Anche se non confermata ufficialmente, l’ipotesi che Musk abbia vissuto la vicenda come un affronto personale trova riscontro nei toni del suo attacco successivo. “La percezione è realtà, però”, ha ammesso un funzionario della Casa Bianca, “e sono abbastanza sicuro che Elon pensasse che la situazione NASA fosse un ultimo insulto.”
Al di là delle frasi incendiarie, l’intervento di Musk si inserisce dunque in una dinamica di potere ben più complessa, in cui delusione, ambizione e interessi aziendali si intrecciano con le scelte politiche dell’amministrazione. Le sue richieste – che spaziano dalle agevolazioni fiscali alla presenza diretta nelle strutture federali – non hanno trovato accoglienza, e la sua influenza sembra essersi ridotta nel momento in cui la Casa Bianca ha scelto di delineare con maggior nettezza il confine tra collaborazione e favore personale.