Pechino intensifica le esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan
La Cina conclude il secondo giorno di manovre attorno all’isola, con operazioni che simulano blocchi navali e attacchi mirati. Taipei denuncia l’invasione della linea mediana dello stretto da parte di aerei militari cinesi, mentre gli Stati Uniti ribadiscono il loro sostegno all’isola.

La Cina ha condotto per il secondo giorno consecutivo esercitazioni militari intorno a Taiwan, in un contesto di crescente pressione su Taipei e sul presidente Lai Ching-te, figura considerata ostile da Pechino. Le manovre, denominate “Strait Thunder-2025A”, si sono concentrate nelle sezioni centrali e meridionali dello Stretto di Taiwan, come dichiarato dal portavoce dell’Esercito Popolare di Liberazione.
Secondo la comunicazione ufficiale cinese, le esercitazioni avevano l’obiettivo di testare la capacità delle forze armate cinesi di effettuare un blocco navale, comprendendo anche attacchi di precisione contro obiettivi simulati, tra cui porti e infrastrutture energetiche. Le operazioni si sono estese al Mar Cinese Orientale, dove sono state condotte esercitazioni di fuoco reale a lungo raggio, mentre a est dell’isola principale taiwanese ha operato il gruppo d’attacco della portaerei Shandong.
Il Ministero della Difesa di Taiwan ha riferito che 37 velivoli militari cinesi hanno attraversato la linea mediana dello stretto, linea non ufficialmente riconosciuta da Pechino ma considerata una zona cuscinetto tra le due sponde. Le forze taiwanesi hanno risposto dispiegando aerei, navi e sistemi missilistici, senza però fornire dettagli sulle modalità operative. Un portavoce ministeriale ha chiarito che lo spazio aereo e le acque circostanti sono rimasti in condizioni normali.
Le esercitazioni si inseriscono in una strategia di pressione che ha visto un’intensificazione significativa dall’insediamento del presidente Lai nel maggio 2024. Secondo i dati forniti da Taipei, il PLA ha organizzato almeno sette serie di esercitazioni militari intorno a Taiwan in meno di un anno, una frequenza senza precedenti dalla transizione democratica dell’isola, iniziata circa trent’anni fa.
Secondo Chieh Chung, ricercatore dell’Institute for National Defense and Security Research di Taipei, la portata coercitiva delle attuali esercitazioni supera quella delle amministrazioni taiwanesi precedenti. Lo scopo non sarebbe solo intimidire Taipei, ma anche lanciare un messaggio diretto a Washington, principale alleato militare dell’isola. “Se gli Stati Uniti non prenderanno sul serio le rivendicazioni cinesi nello stretto”, ha affermato Chieh, “non potranno gestire i rischi di un’escalation militare tra Cina e Stati Uniti”.
Le esercitazioni attuali si aggiungono a una lunga serie di manovre militari cinesi nei confronti dell’isola, già viste durante la presidenza di Tsai Ing-wen, in particolare dopo la visita a Taipei dell’allora Speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi nel 2022. In quell’occasione, la Cina aveva lanciato missili sopra Taiwan, riaccendendo i timori di una crisi simile a quella degli anni ’90.
Tra le motivazioni che potrebbero spiegare la tempistica delle attuali esercitazioni, vi sono le favorevoli condizioni climatiche nello stretto in questo periodo dell’anno, nonché una risposta simbolica alle recenti mosse diplomatiche degli Stati Uniti. L’amministrazione Trump ha rafforzato la propria linea dura contro la Cina, spingendo i membri della NATO a incrementare la spesa per la difesa in funzione anti-russa, mentre Washington concentra i propri sforzi strategici proprio nell’Indo-Pacifico.
In questo contesto, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha ribadito, durante un viaggio in Giappone e nelle Filippine, l’impegno degli Stati Uniti a fornire risorse militari necessarie agli alleati per contenere il PLA. Parallelamente, la portavoce del Dipartimento di Stato, Tammy Bruce, ha sottolineato che Washington “si oppone a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo” nello Stretto di Taiwan e ha riaffermato il sostegno agli alleati e partner regionali, inclusa l’isola.
Le esercitazioni cinesi arrivano poco dopo quelle condotte dagli Stati Uniti con Giappone e Corea del Sud nel Mar Cinese Orientale, che hanno coinvolto il gruppo d’attacco della portaerei Carl Vinson. Nonostante la crescente attività militare, tuttavia, non emergono segnali concreti che indichino una preparazione immediata da parte cinese per un’invasione dell’isola. Una tale operazione avrebbe implicazioni economiche gravi per Pechino e per i suoi principali partner commerciali, oltre a mettere a rischio le catene globali di fornitura dei semiconduttori, settore in cui Taiwan ha un ruolo centrale.
A confermare questa lettura, il ministro della Difesa taiwanese Wellington Koo ha dichiarato che il PLA non è ancora pronto a lanciare una grande operazione anfibia. Inoltre, l’epurazione in corso all’interno delle forze armate cinesi rappresenta un ulteriore elemento di instabilità che potrebbe ostacolare la capacità del PLA di intraprendere azioni militari su larga scala.