NYT: Trump ha bloccato il piano israeliano di attacco ai siti nucleari iraniani
Secondo il New York Times, il presidente ha preferito avviare negoziati con Teheran, fermando un’operazione militare prevista per maggio e imponendo un ultimatum di pochi mesi per limitare il programma atomico dell’Iran.

Secondo un articolo del New York Times, il presidente Trump ha interrotto nelle ultime settimane il piano del governo israeliano di colpire i siti nucleari iraniani già a maggio, scegliendo per ora la via diplomatica con Teheran.
Pur avendo stracciato, durante il suo primo mandato, il precedente accordo sul nucleare iraniano che risale al 2015, il presidente americano ha inviato a marzo una lettera di offerta di colloqui diretti e ha stabilito un ultimatum di pochi mesi per porre delle limitazioni al programma nucleare dell’Iran.
Secondo quanto riporta il New York Times, Israele aveva elaborato un’operazione combinata: un’incursione di commando su siti sotterranei e una campagna di bombardamenti aerei. L’obiettivo dichiarato era ritardare di almeno un anno le ambizioni nucleari di Teheran.
Quasi tutti gli scenari ipotizzati richiedevano però il sostegno degli Stati Uniti, tanto per difendere Israele da possibili ritorsioni iraniane quanto per garantire il pieno successo dell’operazione.
Il contesto regionale ha contribuito a rafforzare la convinzione israeliana di poter colpire con efficacia: gli attacchi balistici iraniani dell’aprile precedente hanno evidenziato limiti nella penetrazione delle difese congiunte di Stati Uniti e Israele.
Parallelamente, Hezbollah, principale alleato di Teheran, è stato fortemente indebolito da una campagna militare israeliana, mentre la caduta del governo del presidente Bashar al‑Assad in Siria ha privato l’Iran di una base strategica sul terreno vicino Israele.
I vertici militari israeliani avevano originariamente stimato che un eventuale attacco non sarebbe stato pronto prima di ottobre, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva spinto per un’esecuzione anticipata, sollecitando un’intensificazione della campagna di bombardamenti per compensare eventuali ritardi operativi.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, il generale Kurilla, comandante del Comando Centrale, ha rafforzato la presenza militare in Medio Oriente, dispiegando una seconda portaerei nel Mar Arabico, batterie di missili Patriot e bombardieri B‑2 a Diego Garcia, con l’obiettivo di fungere da deterrente nei confronti di Teheran.
Nonostante l’apparato militare fosse pronto a intervenire, all’interno dell’Amministrazione statunitense sono però emerse posizioni scettiche. Tulsi Gabbard, direttrice dell’intelligence nazionale, ha avvertito del rischio di un’escalation.
Critiche analoghe sono state espresse da Susie Wiles, capo di gabinetto della Casa Bianca, dal segretario alla Difesa Pete Hegseth e dal vicepresidente JD Vance, tutti dubbiosi sull’efficacia di un attacco nel distruggere definitivamente il programma nucleare iraniano senza innescare un conflitto più ampio.
L’Iran, da parte sua, ha dato segnali di disponibilità a colloqui indiretti: il 28 marzo un alto funzionario di Teheran ha confermato l’apertura a discussioni mediate da terze parti, dopo che in precedenza l’Ayatollah Ali Khamenei aveva respinto l’offerta di colloqui diretti avanzata da Trump.
Il 3 aprile il primo ministro Netanyahu ha telefonato al presidente alla Casa Bianca, che lo ha invitato a Washington. Durante la visita ufficiale del 7 aprile, il presidente Trump ha annunciato pubblicamente l’avvio dei negoziati con l’Iran, ribadendo privatamente che non avrebbe fornito sostegno militare a un’operazione israeliana mentre le trattative fossero in corso.
Successivamente, il presidente ha incaricato John Ratcliffe, direttore della CIA, di recarsi a Gerusalemme per incontrare Netanyahu e David Barnea, capo del Mossad, per valutare opzioni alternative, comprese eventuali operazioni segrete condotte con supporto statunitense.
Brian Hughes, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha sottolineato che l’Amministrazione Trump resta fedele alla linea politica sull’Iran espressa dal presidente, ribadendo che “tutte le opzioni rimangono sul tavolo” pur confermando la preferenza attuale per la diplomazia come strumento principale per impedire a Teheran di acquisire un ordigno nucleare.
In assenza di ulteriori sviluppi, la scelta del presidente Trump ha comunque messo temporaneamente in stand-by ogni ipotesi di intervento militare israeliano contro l’Iran, affidando al negoziato il compito di contenere le ambizioni atomiche di Teheran.