Nuovo Scudo Spaziale per gli USA: Trump ritorna alle “Guerre Stellari” di Ronald Reagan?

L’ambizioso piano di Trump per la difesa missilistica riporta alla memoria la Strategic Defense Initiative di Ronald Reagan e scatena dubbi su costi, efficacia e possibili nuove tensioni internazionali.

Nuovo Scudo Spaziale per gli USA: Trump ritorna alle “Guerre Stellari” di Ronald Reagan?
Foto di Clark Gu / Unsplash

Nel corso di questa settimana, il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per avviare la costruzione di un sistema di difesa missilistica nazionale sulla falsa riga dell'Iron Dome israeliano, pensato per intercettare missili balistici intercontinentali, vettori ipersonici e moderni missili cruise.

L’annuncio richiama alla mente l’ormai celebre “Star Wars” (o “Guerre Stellari”) di Ronald Reagan, il soprannome giornalistico della cosiddetta Iniziativa di Difesa Strategica (SDI) lanciata nel 1983 in piena Guerra Fredda.

Le somiglianze con la tecnologia israeliana di Iron Dome sono, però, secondo gli analisti, solo superficiali: mentre lo scudo israeliano è pensato per respingere missili a corto raggio su un’area geografica ridotta, il nuovo progetto americano infatti punta a una copertura su scala intercontinentale, capace di coprire un territorio enormemente più vasto e minacce molto più sofisticate.

Lo scudo spaziale e i dubbi tecnologici

La nuova strategia americana prevede, tra le altre cose, la creazione di un “intercettore spaziale”.

Si tratterebbe di una costellazione di satelliti dotati di sistemi laser, in grado di colpire i missili avversari già nella primissima fase di lancio, ovvero prima che possano raggiungere l’orbita.

Un concetto affascinante ma ancora molto distante dalle reali capacità tecnologiche: i laser spaziali richiedono infatti potenze enormi, tanto da far ipotizzare la necessità di piccoli reattori nucleari orbitali o di pannelli solari avveniristici, oltre a sistemi di gestione del calore.

Fabian Hoffmann, un esperto missilistico del Progetto Nucleare di Oslo, osserva:

"Ciò non è impossibile, ma... richiederà ricerche e investimenti seri che non possono essere realizzati a breve termine".

Diversi esperti di settore, interpellati dal Financial Times, sottolineano però anche che qualsiasi sistema di difesa in orbita si troverebbe esposto ad attacchi diretti, come ad esempio l’utilizzo di armi antisatellite.

Basterebbe infatti una singola esplosione nucleare a una quota adeguata per mettere fuori uso un gran numero di satelliti con un impulso elettromagnetico (NEMP), rendendo di fatto inagibile l’orbita bassa terrestre (vale a dire 160-2000 km dalla superficie terrestre)  per mesi o persino un anno.

Costi e possibili contromisure

Il peso economico di un sistema di difesa spaziale del genere potrebbe raggiungere centinaia di miliardi di dollari.

Già nel 2012, l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti ipotizzava la necessità di almeno 650 satelliti, per una spesa nell’ordine dei 300 miliardi di dollari, semplicemente per una versione limitata dello scudo.

E non è detto che basterebbe neppure questo: grandi potenze come Cina e Russia possiedono arsenali di missili intercontinentali e tecniche di penetrazione difensiva avanzate (tra cui falsi bersagli o sistemi di raffreddamento delle testate) che potrebbero ridurre l’efficacia di intercettazione.

Dal punto di vista geopolitico, l’avvio di un nuovo programma di difesa spaziale potrebbe, inoltre, innescare una corsa agli armamenti simile a quella degli anni ‘80, con ulteriori investimenti in armi di contromisura e antisatellite.

Le tensioni esistenti verrebbero così alimentate, aumentando il rischio di incidenti o provocazioni nello spazio.

Un futuro incerto

Nonostante i toni trionfalistici dei sostenitori del piano, l’effettiva realizzazione di uno scudo “ermetico” appare oggi irta di ostacoli.

A osteggiare il progetto, oltre ai costi astronomici, ci sono anche le tempistiche di sviluppo: per ottenere prototipi funzionanti di laser spaziali in grado di colpire missili durante la fase di decollo, servirebbero anni di ricerca e test, senza contare le sfide logistiche di lanciare in orbita un numero sufficiente di satelliti difensivi.

L’idea di un sistema di difesa missilistica totale, capace di proteggere gli Stati Uniti da ogni possibile missile balistico, è indubbiamente affascinante e affonda le radici in una lunga storia di progetti e sperimentazioni.

Al momento, però, si scontra con limiti concreti, dai progressi tecnici ancora non raggiunti ai potenziali effetti di un’escalation militare nello spazio.

L’ultima parola spetterà, come spesso accade, al Congresso e alla reale volontà politica di stanziare fondi così ingenti, in un momento nel quale le spese militari sono già molto elevate.

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