New York Times: i dazi di Trump danneggeranno il libero scambio, ma alla fine il colpo potrebbe non essere fatale
Il presidente americano ha imposto dazi su oltre 100 Paesi. Ma il sistema del libero scambio, secondo Mark Landler del New York Times, potrebbe alla fine sopravvivere anche senza il Paese che finora è stato il suo protagonista principale.

Mercoledì scorso, il presidente Donald Trump ha annunciato dalla Casa Bianca l’introduzione di dazi commerciali generalizzati contro più di 100 Paesi. Ha definito il provvedimento una “giornata di Liberazione” per gli Stati Uniti.
Le nuove misure colpiscono sia partner storici che rivali commerciali di lunga data, segnando un drastico cambio di rotta rispetto alle politiche di libero scambio che hanno dominato l’economia globale per decenni.
Secondo l’Organizzazione Mondiale del Commercio, queste tariffe potrebbero ridurre dell’1% il volume del commercio globale di merci entro il 2025, una revisione al ribasso di quasi quattro punti rispetto alle stime precedenti.
Un parallelo con la Brexit
Molti analisti paragonano la decisione di Trump alla Brexit. Come il Regno Unito nel 2016, anche gli Stati Uniti stanno voltando le spalle a un ordine economico internazionale finora consolidato.
"È sicuramente un duro colpo all'ordine economico globale", osserva Mark Landler, corrispondente del New York Times da Londra.
“Gli Stati Uniti si stanno ritirando dall’economia mondiale come la Gran Bretagna fece con il blocco commerciale europeo, in quella che i sostenitori considerano un’azione di liberazione.”
Tuttavia, le conseguenze potrebbero essere ben più gravi: l’economia statunitense è una delle più grandi al mondo e rappresenta una forza trainante per il commercio globale, con la sua costante domanda di beni come automobili tedesche e iPhone prodotti in Asia.
Come nel caso britannico, però, le ricadute restano incerte: Trump potrebbe alla fine rivedere le sue posizioni in risposta a crolli duraturi dei mercati, o optare per accordi bilaterali con singoli Paesi.
Il libero scambio sotto pressione, ma ancora vivo
Nonostante il colpo inferto, molti economisti ritengono che il libero scambio globale non sia destinato a sparire.
“Non è la fine del libero scambio, ma una ritirata dal libero scambio illimitato”, ha affermato Eswar Prasad, professore alla Cornell University.
“In teoria, questo dovrebbe essere il momento in cui il resto del mondo si potrebbe unire per promuoverlo. In pratica, sarà ogni Paese per sé.”
Tuttavia, nel corso degli anni, mentre le barriere commerciali diminuivano, i benefici del libero scambio sono diventati sempre più evidenti.
Per questo motivo, molti ritengono che anche senza gli Stati Uniti, che il sistema possa sopravvivere grazie a nuovi accordi regionali o bilaterali.
Un mondo più instabile (e più pericoloso)
Uno scenario commerciale disordinato, però, potrebbe rivelarsi instabile sul lungo periodo.
Gli storici ricordano che, sebbene le guerre commerciali non si traducano necessariamente in conflitti armati, molte dispute del passato — come la Guerra del 1812 o le Guerre dell’Oppio — affondavano le loro radici proprio nel commercio internazionale.
“L’equilibrio economico tra Stati Uniti e Cina forniva una sorta di stabilità,” osserva ancora il professor Prasad. “Ora questo equilibrio si sta erodendo.”
Le reazioni internazionali: tra accordi e ritorsioni
La mossa di Trump ha disorientato molti storici partner commerciali degli Stati Uniti, inclusi Paesi vicini come Canada e Messico.
Alcuni governi stanno reagendo cercando accordi bilaterali per evitare danni maggiori, come ha fatto il primo ministro britannico Keir Starmer, dopo che gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 10% al Regno Unito.
Altri, invece, stanno reagendo con misure di ritorsione.
La Cina, ad esempio, ha annunciato dazi del 34%, mentre Giappone e Corea del Sud valutano una risposta coordinata.
L’Unione Europea, nel frattempo, teme che l’esclusione dal mercato statunitense possa innescare un’ondata di esportazioni a basso costo verso l’Europa, distorcendo il commercio interno.
“Molto dipenderà dalla risposta europea”, afferma Simon Johnson del MIT.
“Potrebbero avvicinarsi alla Cina, ma non sarà facile assorbire tutte quelle esportazioni.”
La sfida per Pechino
E' la Cina però che ora si trova di fronte alla scelta più difficile: ridurre la sua dipendenza dalle esportazioni stimolando la domanda interna — strategia già tentata in passato con risultati alterni — oppure trovare un’intesa con Trump, cosa non riuscita durante il suo primo mandato.
Pur criticando i metodi di Trump, diversi economisti riconoscono che la questione da lui sollevata è reale: la Cina ha costruito la sua potenza economica anche grazie a massicce sovvenzioni pubbliche, che hanno penalizzato il settore manifatturiero occidentale.
Anche i predecessori di Trump avevano intrapreso azioni simili. Barack Obama, ad esempio, aveva imposto un dazio del 35% sulla Cina tra il 2009 e il 2012.
Joe Biden, invece, ha mantenuto gran parte dei dazi imposti da Trump durante il suo primo mandato.
“La pressione sul sistema commerciale globale è in corso da tempo,” spiega ancora il professor Johnson, “e ha raggiunto l’apice con l’ascesa della Cina. È stato molto più dirompente rispetto al Giappone.”
Il valore del commercio e i paesi più vulnerabili
Ad ogni modo il commercio rimane un fattore chiave nello sviluppo economico.
Secondo Johnson — Premio Nobel per l’Economia 2024 insieme ad Acemoglu e Robinson — quasi tutti i Paesi che sono usciti dalla povertà lo hanno fatto proprio grazie agli scambi internazionali.
Per questo motivo, è improbabile un ritorno all’autarchia: la complessità delle catene di approvvigionamento globali rende l’isolamento economico praticamente impossibile al giorno d'oggi.
Tuttavia, alcuni Paesi risentiranno più di altri del nuovo scenario, in particolare, le economie in via di sviluppo che dipendono dalle esportazioni — come Nigeria (colpita da un dazio del 14%), Kenya e Ghana (10%) — che rischiano pesanti ripercussioni su crescita e occupazione.
Un nuovo ordine commerciale?
Nonostante lo scenario incerto, alcuni analisti vedono in tutto questo un’opportunità: i dazi di Trump potrebbero spingere altri Paesi a rafforzare la cooperazione commerciale.
Un esempio già concreto è il Partenariato Trans-Pacifico, rinegoziato dopo il ritiro degli Stati Uniti.
Anche la Brexit, pur nata da spinte simili a quelle del movimento MAGA, non ha portato a un isolamento commerciale: i suoi sostenitori sostenevano che Londra avrebbe potuto negoziare migliori accordi per conto proprio.
“Vedremo più Paesi cercare di concludere accordi di libero scambio, aggirando gli Stati Uniti,” prevede Jason Furman, ex consigliere economico della Casa Bianca.
“È probabilmente un punto di svolta per il ruolo americano nel sistema commerciale globale, ma non per il libero scambio in sé.”
La spinta verso un commercio più aperto — seppur più selettivo e regolato — sembra, dunque, destinata a continuare, anche in un contesto geopolitico sempre più frammentato, conclude il New York Times.