Milizie filo-iraniane in Iraq pronte al disarmo per evitare l'escalation con gli Stati Uniti
Alcuni gruppi armati sciiti sostenuti da Teheran valutano di disarmarsi per evitare attacchi aerei statunitensi, in un contesto di crescente pressione politica e militare su Baghdad
Diverse potenti milizie sciite in Iraq, sostenute dall’Iran, si stanno preparando per la prima volta a disarmarsi parzialmente, in risposta alla crescente pressione esercitata dagli Stati Uniti. La decisione, rivelata da dieci alti comandanti e funzionari iracheni a Reuters, segnerebbe una svolta in un lungo conflitto di influenza sul territorio iracheno, aggravato dall’intensificarsi delle tensioni tra Washington e Teheran.
Secondo quanto riferito, i colloqui tra il primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani e i leader delle milizie sono in uno stato avanzato. Le trattative si sono intensificate a seguito degli avvertimenti privati lanciati da funzionari americani al governo iracheno, nei quali si paventava la possibilità di attacchi aerei se Baghdad non avesse intrapreso azioni concrete per sciogliere i gruppi armati operanti nel paese.
Al centro del dossier vi è la Resistenza Islamica in Iraq, un gruppo ombrello che raccoglie circa dieci fazioni armate sciite con una forza stimata di 50.000 combattenti, dotati anche di missili a lungo raggio e armi antiaeree. Tra queste, Kataib Hezbollah è considerata la più potente. Negli ultimi mesi, il gruppo e altri alleati hanno rivendicato una serie di attacchi missilistici e con droni contro obiettivi israeliani e statunitensi, in particolare dall'inizio della guerra di Gaza nell'ottobre 2023.
Uno dei comandanti di Kataib Hezbollah, rimasto anonimo, ha dichiarato che la decisione di considerare il disarmo è motivata dalla volontà di evitare un conflitto devastante. "Trump è pronto a portare la guerra con noi a livelli peggiori, lo sappiamo, e vogliamo evitare uno scenario così negativo", ha affermato.
Il timore di un’escalation è condiviso anche dalle Guardie Rivoluzionarie Iraniane (IRGC), principale sostenitore delle milizie. Secondo quanto riferito, l’IRGC avrebbe dato il proprio assenso a un eventuale disarmo, lasciando ai gruppi la libertà di agire secondo la loro valutazione della situazione.
Il consigliere per gli affari esteri del primo ministro iracheno, Farhad Alaaeldin, ha dichiarato che l’obiettivo del governo è garantire che tutte le armi nel paese siano sotto il controllo statale, attraverso un "dialogo costruttivo con vari attori nazionali". Un meccanismo di disarmo, tuttavia, non è ancora stato definito. Tra le opzioni sul tavolo vi sono l’integrazione dei combattenti nelle forze armate regolari e la trasformazione dei gruppi in partiti politici.
Alcuni segni di un cambio di rotta sono già visibili. Da metà gennaio, alcune milizie hanno evacuato le loro sedi in città strategiche come Mosul e Anbar, per timore di essere prese di mira da attacchi aerei. Il Dipartimento di Stato americano continua a chiedere al governo iracheno di esercitare il controllo sulle milizie, sottolineando che queste "devono rispondere al comandante in capo dell’Iraq e non all’Iran".
Ciononostante, scetticismo e cautela rimangono diffusi. Un funzionario statunitense, parlando in forma anonima, ha ricordato che già in passato le milizie hanno sospeso temporaneamente le ostilità sotto pressione, senza però intraprendere un vero processo di disarmo.
Secondo Izzat al-Shahbndar, influente politico sciita vicino all’alleanza di governo, i gruppi sono consapevoli del rischio concreto di essere colpiti e, questa volta, non sembrano intenzionati a opporsi frontalmente alle richieste statunitensi. Tuttavia, ha confermato che un’intesa formale non è stata ancora raggiunta.
Il contesto è reso ancor più complesso dalla posizione geopolitica dell’Iraq, da anni impegnato in un difficile equilibrio tra l’influenza iraniana e il partenariato strategico con gli Stati Uniti. Le milizie sciite sostenute da Teheran sono emerse dopo l’invasione americana del 2003, nel vuoto di potere seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein, e nel tempo sono divenute attori militari e politici di primo piano.
Il momento è particolarmente delicato anche per l’"Asse della Resistenza" regionale promosso dall’Iran, che comprende una rete di forze proxy attive in Libano, Siria, Yemen e appunto Iraq. L’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, che ha innescato una nuova fase del conflitto mediorientale, ha tuttavia indebolito la posizione strategica di questo asse, aumentando la pressione internazionale e i rischi di un confronto armato diretto.
A rafforzare il senso di urgenza, l’ex consigliere politico di Sudani, Ibrahim al-Sumaidaie, ha avvertito che il mancato disarmo delle milizie potrebbe portare a un intervento esterno. “Se non ci conformiamo volontariamente, potrebbe essere imposto dall’esterno, e con la forza”, ha affermato in un’intervista alla televisione di stato irachena.
Il processo di disarmo, se portato a termine, rappresenterebbe un passaggio significativo nella gestione della sicurezza in Iraq, ma resta da vedere se le intenzioni dichiarate si tradurranno in risultati concreti e duraturi.