Migranti a Guantánamo: testimonianze parlano di dure condizioni di detenzione e tentativi di suicidio
Tre venezuelani raccontano le condizioni di reclusione nel carcere militare sul territorio cubano: isolamento prolungato, perquisizioni invasive e tentativi di suicidio tra i migranti detenuti.
L'Amministrazione Trump ha completato giovedì scorso l'espulsione in Venezuela di un gruppo di circa 180 migranti trasferiti in precedenza dagli Stati Uniti alla base navale di Guantánamo, ora trasformata in un carcere per migranti.
Le testimonianze raccolte dal Washington Post rivelano condizioni di detenzione estremamente dure, che hanno sollevato non poche preoccupazioni tra le organizzazioni per i diritti umani.
Dure condizioni di detenzione
"Non mi hanno trattato come un essere umano. Mi hanno buttato in una gabbia".
Così inizia il suo racconto Diuvar Uzcátegui, 27 anni, descrivendo la sua esperienza di due settimane di detenuti nella prigione militare americana su territorio cubano, già tristemente famosa per il suo ruolo di campo di detenzione durante la Guerra al Terrorismo.
Nella sua cella dalle pareti gialle scrostate e priva di finestre, Uzcátegui ha perso la cognizione del tempo, tenendo traccia dei giorni solo contando i pasti ricevuti e annotandoli con piccoli strappi sull'ultima pagina di una Bibbia.
I tre migranti intervistati - Uzcátegui, José Daniel Simancas e Franyer Montes - hanno riferito che è stato negato loro ripetutamente di avere contatti con familiari o avvocati, di essere stati sottoposti a perquisizioni corporali invasive e umilianti, e tenuti in isolamento prolungato con solo due opportunità di un'ora ciascuna di uscire all'aperto nell'arco di due settimane.
Questo il racconto di Simancas:
"Quando uscivamo, ci mettevano le catene e ci portavano in quello che sembrava gabbie individuali all'aperto. Almeno lì potevamo vedere i volti degli altri."
Crisi psicologiche e tentativi di suicidio
La detenzione ha avuto un impatto devastante sulla salute mentale dei migranti. Uzcátegui ha descritto attacchi di panico e momenti di profonda depressione:
"Ho pianto e pianto. Mi sono detto 'morirò qui'. Mi stava colpendo psicologicamente".
Simancas ha confessato di aver tentato di tagliarsi i polsi con bottiglie di plastica affilate, mentre un altro detenuto avrebbe ingerito dieci viti, richiedendo ripetuti interventi d'emergenza.
"Tutti abbiamo pensato di ucciderci".
Montes, 22 anni, ha dichiarato di aver considerato il suicidio durante i suoi 13 giorni di reclusione, ma di essere stato trattenuto dal farlo solo dal pensiero della madre e del figlio.
Critiche e contesto politico
Le condizioni dei migranti a Guantánamo "sono orribili, e molto più restrittive, severe e abusive di quanto vedremmo in un tipico centro di detenzione per immigrati negli Stati Uniti", ha dichiarato Eunice Cho, avvocato dell'ACLU National Prison Project.
Si tratta di una delle organizzazioni che hanno fatto causa all'Amministrazione Trump per consentire l'accesso dei legali ai migranti.
Particolarmente preoccupante, secondo l’ACLU, è l'utilizzo di guardie militari per sorvegliare persone detenute per violazioni civili delle leggi sull'immigrazione.
Secondo l’organizzazione, i lunghi periodi in cella descritti dai migranti rientrano nella definizione di isolamento solitario così come stabilita dalle Regole Nelson Mandela delle Nazioni Unite.
Il Dipartimento della Sicurezza Interna non ha voluto rispondere alle domande del Washington OmPost sulle condizioni dei migranti, mentre la Casa Bianca ha mantenuto la sua posizione affermando che molti di coloro inviati a Cuba fossero criminali pericolosi membri della gang venezuelana Tren de Aragua.
La Segretaria alla Sicurezza Interna Kristi L. Noem aveva definito i migranti trasportati a Cuba come "il peggio del peggio". Tuttavia, il Washington Post non ha trovato precedenti penali tra le persone intervistate.
Il ritorno in Venezuela
Uzcátegui è stato riunito con la sua famiglia a Maracay sabato sera.
"Guantánamo dovrebbe essere una prigione di massima sicurezza per terroristi, no? Io non sono niente di tutto questo. Non sono un criminale. La mia fedina penale è pulita."
Il presidente Nicolás Maduro ha presentato l’accettazione dei migranti espulsi dagli Stati Uniti come parte della sua iniziativa "Ritorno alla Patria" per persuadere i migranti a tornare.
Ma per gli ex detenuti, il ritorno in Venezuela è stato accompagnato anche da ansia.
I blackout elettrici rimangono frequenti nel Paese e la morsa del regime di Maduro si è consolidata da quando loro sono partiti, dopo che Maduro la vittoria in un'elezione presidenziale ampiamente considerata come fraudolenta.
Queste le parole di Montes:
"Sono felice perché sono con la mia famiglia. Ma mentalmente non riesco a superare questo. Porto con me il trauma."
Nonostante l'esperienza traumatica subita, comunque, Uzcátegui è convinto ancora di una cosa: vuole ancora un futuro negli Stati Uniti.
"Mi piacciono gli Stati Uniti. Voglio tornare perché non ho fatto niente di male, e mi piace che ci siano leggi lì, che si possa vivere in sicurezza. Voglio tornarci, legalmente."