Midterm 2026: chi è davvero avvantaggiato?

I democratici contano sulla tradizione che penalizza il partito del presidente, mentre i repubblicani puntano su pochi seggi vulnerabili e nuove mappe elettorali

Midterm 2026: chi è davvero avvantaggiato?

Le elezioni di metà mandato del 2026 sono ancora lontane, ma la contesa politica negli Stati Uniti è già accesa. Il presidente Donald Trump spinge affinché gli stati a guida repubblicana ridisegnino i collegi elettorali, mentre i democratici festeggiano l'avere candidati di spicco nelle competizioni senatorie in North Carolina e in Ohio. L’equilibrio del potere a Washington, con una Camera dei rappresentanti spaccata in due, dipenderà dall’esito di queste sfide. A delineare i possibili scenari è Geoffrey Skelley in un’analisi pubblicata da Decision Desk HQ, che mette in evidenza le ragioni di speranza e di timore per entrambi i partiti in vista del voto.

La storia recente offre motivi di ottimismo per i democratici. Nelle elezioni di metà mandato, il partito del presidente ha perso seggi alla Camera in 38 casi su 42 dal 1856. Dal 1946 in poi, la perdita media è stata di 25 seggi, con un chiaro legame tra il livello di approvazione del presidente e l’entità delle sconfitte. Attualmente, Trump gode di un consenso intorno al 45%: un livello che, secondo i dati storici, corrisponderebbe a una perdita stimata di circa 30 seggi, con un intervallo tra 22 e 39.

I precedenti mostrano che solo presidenti con un’approvazione superiore al 60% hanno evitato di perdere la maggioranza. Bill Clinton nel 1998 e George W. Bush nel 2002 riuscirono addirittura a guadagnare seggi, ma casi simili restano eccezioni. Per i democratici, la soglia per riconquistare la Camera è particolarmente bassa: bastano tre seggi, con i repubblicani che controllano oggi una maggioranza di 220 a 215, la più ridotta dagli anni Trenta. Non sorprende quindi che i mercati di scommesse diano ai democratici una probabilità di 7 su 10 di conquistare la Camera.

A sostenere le speranze democratiche ci sono anche i sondaggi sul generic ballot, che registrano un vantaggio di 3-4 punti sul GOP. Storicamente, il partito del presidente perde terreno man mano che si avvicina l’appuntamento elettorale. A questo si aggiunge l’effetto della “differential turnout”: nelle elezioni di metà mandato, gli elettori del partito all’opposizione tendono a mobilitarsi di più rispetto a quelli vicini al presidente. Le prime rilevazioni indicano infatti che i democratici appaiono più motivati a recarsi alle urne nel 2026.

Un ulteriore fattore riguarda il cosiddetto “diploma divide”: gli elettori con un titolo universitario, più propensi a sostenere i democratici, votano con maggiore frequenza rispetto a quelli senza laurea, che hanno invece premiato Trump. In un’elezione a bassa affluenza come le midterm, questo squilibrio potrebbe avvantaggiare ulteriormente il Partito democratico.

Dall’altra parte, i repubblicani guardano al 2026 con un diverso ottimismo. La polarizzazione dell’elettorato, diviso rigidamente tra sostenitori e oppositori di Trump, rende poco probabili grandi cali di consenso per il presidente. Inoltre, il GOP deve difendere un numero ridottissimo di seggi vulnerabili. Dopo le elezioni del 2024 ci sono soltanto 16 distretti “crossover” rappresentati da un partito ma vinti dal candidato presidenziale avversario. Di questi, i repubblicani devono difenderne solo sette, il numero più basso dal 1994.

Questa configurazione riduce le possibilità di un’“ondata” democratica. Nelle precedenti elezioni di metà mandato che hanno visto crolli significativi, come nel 1994 e nel 2010, i democratici difendevano decine di collegi in aree tendenzialmente repubblicane, facilmente conquistabili dagli avversari. Oggi, invece, per ottenere una maggioranza ampia i democratici dovrebbero vincere anche seggi con un leggero vantaggio repubblicano, compito più complesso e incerto.

Il vero punto di forza dei repubblicani potrebbe però arrivare dal ridisegno delle mappe elettorali. Mentre in California i democratici hanno proposto una revisione che punta a guadagnare cinque seggi, in Texas i repubblicani hanno presentato un piano simile. Ma Trump ha sollecitato altri stati controllati dal GOP a intervenire: secondo il New York Times, quindici stati a guida repubblicana potrebbero procedere a un nuovo redistricting, contro soli quattro democratici. Se anche solo alcuni di questi piani andassero in porto, i repubblicani si troverebbero a difendere un numero maggiore di distretti sicuri.

Anche sul fronte del Senato la situazione appare più favorevole al GOP. I democratici dovrebbero conquistare quattro seggi per ribaltare l’attuale maggioranza repubblicana di 53 a 47. Due obiettivi chiari sono Maine e North Carolina, ma già il terzo — l’Ohio — rappresenta una sfida ardua, essendo stato vinto da Trump con un margine di 11 punti nel 2024. Florida, Alaska, Iowa e Texas, tutti stati saldamente repubblicani, appaiono ancora più difficili. Secondo i mercati, i repubblicani hanno circa il 70% di probabilità di mantenere il controllo del Senato.

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