L'export cinese continua a crescere

Nonostante il crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti, la Cina compensa con Africa, Asia ed Europa. La Belt and Road Initiative accelera e rafforza il ruolo di Pechino nelle catene globali del valore.

L'export cinese continua a crescere
Photo by Zalfa Imani / Unsplash

Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, la Cina è diventata il principale bersaglio della sua politica commerciale. In primavera il presidente aveva accusato Pechino di essere il “principale ladro” nelle relazioni economiche con Washington. Il 6 settembre ha rincarato la dose, definendo il paese “la Cina più oscura e profonda”. Ha poi imposto dazi più alti su beni cinesi, restrizioni contro triangolazioni attraverso i paesi del Sud-Est asiatico e pressioni sull’Unione europea per limitare l’ingresso dei metalli cinesi nelle proprie filiere. Se molte misure della nuova agenda commerciale americana appaiono frammentarie, il tentativo di isolare la Cina sembra invece seguire una logica precisa.

Pechino ha reagito con tariffe a sua volta e con un’offensiva diplomatica mirata a rafforzare i legami con altre aree del mondo. Durante il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, il 1° settembre, Xi Jinping ha invitato i membri a “opporsi al pensiero da guerra fredda e al bullismo”, presentando la Cina come alternativa agli Stati Uniti.

Ma i dati diffusi dalle dogane cinesi l’8 settembre mostrano però che l’obiettivo americano di indebolire il motore commerciale cinese non è stato raggiunto. Negli ultimi tre mesi le esportazioni verso gli Stati Uniti sono crollate di un quarto rispetto all’anno precedente, con la quota americana scesa dal 15% al 10% delle vendite cinesi. Ma nello stesso periodo le esportazioni complessive della Cina sono aumentate del 6% su base annua.

La differenza l’hanno fatta i nuovi mercati. Tra giugno e agosto le spedizioni verso l’Africa sono aumentate di un terzo, quelle verso i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico del 20%, mentre l’export verso l’Europa è cresciuto di quasi il 10%. Un anno fa Unione europea e Stati Uniti assorbivano quote simili delle merci cinesi; oggi l’Europa ne importa oltre il 60% in più rispetto all’America.

Un ruolo decisivo è giocato dalla Belt and Road Initiative (BRI), il vasto programma lanciato da Pechino nel 2013. Nella prima metà del 2025 l’iniziativa ha raggiunto un record con oltre 120 miliardi di dollari in nuovi contratti e investimenti, secondo il Griffith Asia Institute. Quasi metà dei contratti di costruzione, affidati ad aziende cinesi, riguarda progetti in Africa, per un valore superiore a 30 miliardi di dollari, cinque volte rispetto all’anno precedente.

Questo si traduce direttamente in flussi commerciali. Negli ultimi tre mesi le esportazioni verso la Nigeria sono cresciute di oltre il 50%, spinte dalla domanda di attrezzature per ferrovie e centrali finanziate dalla Cina. Anche l’Egitto ha ottenuto prestiti BRI. Parallelamente, diversi paesi africani stanno approfondendo i legami finanziari con Pechino: il Kenya vuole convertire i prestiti in yuan, mentre Egitto, Nigeria e Sudafrica hanno siglato accordi di swap valutari.

Anche nel Sud-Est asiatico il peso della Cina aumenta. Tra giugno e agosto le spedizioni verso Thailandia e Vietnam sono salite di un quarto rispetto all’anno precedente, con incrementi superiori al 40% in elettronica e macchinari. Parte di questo traffico anticipa l’introduzione di nuovi dazi, ma dietro c’è un cambiamento strutturale: molte imprese cinesi stanno delocalizzando la produzione in paesi Asean per rispettarne le regole di origine, rafforzando così la presenza nelle catene di fornitura regionali.

Il quadro è diverso in Messico. Tra maggio e luglio le importazioni di merci cinesi sono calate del 6% rispetto all’anno precedente. E la tendenza potrebbe peggiorare. Il 4 settembre la presidente Claudia Sheinbaum ha annunciato nuovi dazi su automobili, tessili e plastiche provenienti dalla Cina, con l’obiettivo di proteggere l’industria locale e al tempo stesso compiacere Trump, che da tempo sostiene la creazione di una “Fortezza Nord America”.

Focus America non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.