Le ambizioni territoriali di Trump riattivano il mito della conquista dell'Ovest
Il presidente utilizza l'immaginario della conquista dell'Ovest per giustificare ambizioni territoriali verso Groenlandia e altre aree, presentandosi come un pioniere che sfida le norme per il bene della nazione
Parlando al Congresso Donald Trump ha espresso chiaramente le sue ambizioni espansionistiche verso la Groenlandia, definendolo un "territorio molto grande" di cui gli Stati Uniti hanno "veramente bisogno per la sicurezza internazionale". Il 4 marzo, rivolgendosi al "popolo incredibile del Groenlandia", ha affermato con tono quasi minaccioso: "Penso che lo otterremo – in un modo o nell'altro, lo otterremo. Garantiremo la vostra sicurezza. Vi renderemo ricchi. E insieme porteremo la Groenlandia verso vette che non avreste mai creduto possibili prima."
Come spiega il giornale francese Le Monde, questo approccio, che include anche mire verso Canada e Canale di Panama, non rappresenta solo un calcolo geopolitico ed economico, ma riattiva un immaginario nazionale che sembrava ormai superato: quello della "frontiera", l'idea fondante di un'America in continua espansione territoriale.
Durante il suo discorso di insediamento del 20 gennaio, Trump ha dichiarato: "Lo spirito della frontiera è inscritto nei nostri cuori. Il richiamo della prossima grande avventura risuona nel profondo delle nostre anime. I nostri antenati americani hanno trasformato un piccolo gruppo di colonie al margine di un vasto continente in una potente repubblica, estesa per migliaia di chilometri attraverso una terra accidentata e selvaggia". Un richiamo che collega direttamente la sua presidenza all'idea fondante dell'espansione americana attraverso territori "selvaggi".
Anche i suoi sostenitori stanno rilanciando attivamente questa narrazione. Eric Teetsel, vicepresidente del think tank "The Center for Renewing America", vicino a Trump, ha recentemente inserito la proposta su Groenlandia nella tradizione degli "esploratori che sfidano le avversità alla ricerca di una vita migliore", sostenendo che "Trump fa rivivere questo spirito".
Come spiega lo storico Richard Slotkin, autore di "A Great Disorder: National Myth and The Battle for America", lo spirito della frontiera "è il mito americano più fondamentale, poiché spiega le origini della nazione, dai suoi inizi come colonia di insediamento fino alla sua fantastica espansione per diventare una potenza mondiale". Questa visione, teorizzata nel 1893 dallo storico Frederick Jackson Turner, sostiene che sia stata proprio la conquista dell'Ovest a forgiare la cultura democratica americana, distinguendola dalle nazioni europee.
Per Turner, non è sulla costa atlantica ma nel Grande Ovest che nasce il vero carattere americano: l'incontro tra l'uomo civilizzato e la natura selvaggia genera "un nuovo prodotto, che è americano". Un uomo duro, autonomo, "self made", che infonde il suo spirito nelle istituzioni della giovane nazione. Turner presentava l'Ovest e l'Europa come forze opposte; il primo aspirante alla libertà, la seconda che cerca di controllarla. "La democrazia americana non è nata dal sogno di un teorico; non è stata trasportata dalla Susan-Constant fino in Virginia, né dal Mayflower fino a Plymouth", scriveva, riferendosi alle navi che portarono i coloni dall'Inghilterra all'inizio del XVII secolo.
Sebbene questo mito sia stato in parte sostituito dopo la Seconda Guerra Mondiale dall'immagine dell'America come leader del mondo libero, e sia stato successivamente criticato dalla "nuova storia dell'Ovest" che ne ha evidenziato i lati oscuri (massacri dei popoli indigeni, distruzione ambientale), la sua potenza evocativa persiste nel discorso politico americano. John F. Kennedy utilizzò l'immagine della "Nuova Frontiera" nel 1960, e Bill Clinton dichiarò nel 1993 che "l'economia globale è la nostra nuova frontiera".
La differenza è che Trump lo utilizza "nella sua forma più primitiva", secondo Slotkin: quella di un'America la cui prosperità, economica ma anche politica, si basa su un'espansione senza limiti e sulla corsa alle energie fossili. James Madison, futuro presidente, scriveva già nel 1787 che aumentando "l'estensione del territorio" si sarebbe diluito l'estremismo politico evitando la lotta di classe. "Più vasta sarà la nostra associazione," diceva il presidente Thomas Jefferson nel 1805, a proposito dell'acquisto della Louisiana dalla Francia, "meno sarà scossa da passioni locali."
Inoltre, questo ritorno alla figura del "frontiersman" permette di giustificare le controversie morali legate a Trump. Come osserva la sociologa Olena Leipnik, "Trump è arrivato in politica con un passato controverso, ma l'inserimento della sua immagine presidenziale nella logica del mito ha trasformato questa ambiguità morale in una prova di autenticità propria di una versione integrale dell'eroe della frontiera". Poiché la frontiera è uno spazio senza regole, il "frontiersman" porta valori di individualismo e autosufficienza che risuonano anche con il libertarianismo della Silicon Valley.
La Groenlandia serve come terreno di prova prima della prossima frontiera: lo spazio. Nel suo discorso inaugurale, Trump prometteva: "Perseguiremo il nostro destino manifesto fino alle stelle". Slogan dell'espansione verso Ovest nel XIX secolo, il "destino manifesto" è l'idea secondo cui gli americani bianchi hanno ricevuto l'ordine divino di colonizzare il continente nordamericano.