L’assassinio di Charlie Kirk e il pericolo della violenza politica negli Stati Uniti

La morte del fondatore di Turning Point USA segna un ulteriore passo verso l’erosione della democrazia e ricorda come la violenza politica si diffonda come un virus

L’assassinio di Charlie Kirk e il pericolo della violenza politica negli Stati Uniti
Gage Skidmore/The Star News Network

Charlie Kirk, fondatore di Turning Point USA, è stato ucciso mercoledì durante un intervento alla Utah Valley University. Per Ezra Klein, editorialista del New York Times, la sua morte non è solo una tragedia personale e politica, ma anche un segnale del deterioramento della vita democratica negli Stati Uniti.

Klein ricorda come la base di una società libera sia la possibilità di partecipare alla politica senza paura della violenza. La perdita di questa condizione significa rischiare di perdere tutto. Secondo l’editorialista, con l’assassinio di Kirk il Paese ha fatto un passo ulteriore verso questa perdita.

L’episodio si inserisce in una sequenza di eventi che negli ultimi anni hanno mostrato la diffusione della violenza politica. Klein ricorda che nel 2020 l’FBI sventò un piano per rapire Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan. Nel 2021 una folla assaltò il Campidoglio per rovesciare il risultato delle elezioni e vennero trovate bombe artigianali vicino alle sedi dei due principali partiti. Nel 2022 un uomo entrò in casa di Nancy Pelosi, allora speaker della Camera, con l’intento di rapirla. Non trovandola, colpì con un martello suo marito 82enne, Paul, provocandogli una frattura al cranio.

La violenza proseguì negli anni successivi: nel 2024 il presidente Donald Trump scampò a un attentato, mentre Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, fu assassinato. Nel 2025 una molotov fu lanciata contro l’abitazione del governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, durante la Pasqua ebraica. Sempre quest’anno, Melissa Hortman, già speaker della Camera del Minnesota, e suo marito furono uccisi; il senatore statale John Hoffman e sua moglie rimasero gravemente feriti in una sparatoria.

Per Klein, Kirk rappresentava un esempio di partecipazione politica “nella forma giusta”. Pur non condividendo le sue idee, l’editorialista riconosce che Kirk aveva scelto di confrontarsi nei campus universitari, dialogando con chiunque volesse parlare con lui. Con costanza, era riuscito a minare la presunta egemonia della sinistra tra gli studenti, contribuendo allo spostamento a destra di parte dell’elettorato giovane nelle elezioni del 2024.

Klein osserva che, pur essendo stato spesso in disaccordo con Kirk, ne invidiava la capacità di costruire spazi di discussione. Ricorda anche che Gavin Newsom, governatore della California, lo aveva ospitato nella puntata inaugurale del suo podcast, rivelando che suo figlio era un grande ammiratore di Kirk.

Le reazioni sui social media alla notizia dell’omicidio, nota Klein, sono state in gran parte rispettose, provenienti sia da sinistra che da destra. Tuttavia, rileva due tendenze problematiche: da un lato, chi a sinistra collega la morte di Kirk alle sue stesse posizioni sul Secondo emendamento, che egli difendeva pur riconoscendo i rischi legati alle vittime innocenti; dall’altro, chi a destra interpreta l’omicidio come giustificazione per una risposta estrema, paragonandolo a un “incendio del Reichstag”.

Secondo Klein, questo approccio è pericoloso. La violenza politica, spiega, è un virus contagioso: una volta reso immaginabile, si diffonde senza controllo, coinvolgendo avversari e alleati. Per illustrare il punto, cita i decenni passati: dagli assassinii degli anni Sessanta (John F. Kennedy, Malcolm X, Martin Luther King, Robert F. Kennedy, Medgar Evers), agli attentati degli anni Settanta e Ottanta, come quelli contro George Wallace, Gerald Ford e Ronald Reagan. In quei casi, sottolinea, i mandanti e gli attentatori avevano motivazioni e profili diversi, ma tutti hanno contribuito a un clima in cui la violenza diventava una via praticabile.

Klein insiste sul fatto che la politica americana ha lati contrapposti, ma entrambi dovrebbero far parte di un progetto comune: mantenere in vita l’esperimento democratico. Si può accettare di perdere un’elezione perché si crede nella possibilità di vincere la successiva, si può tollerare di perdere un argomento perché ci sarà un nuovo dibattito. La violenza politica mette in pericolo questa dinamica di alternanza e confronto.

Conclude affermando che la sicurezza di persone come Shapiro, Hoffman, Hortman, Thompson, Trump, Pelosi e Whitmer è legata a quella di tutti. “Siamo tutti al sicuro, o nessuno di noi lo è”, scrive Klein.

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