L'Amministrazione Trump valuta attacchi con droni contro i cartelli della droga messicani

Sono in corso discussioni tra funzionari della Casa Bianca, del Pentagono e dell'intelligence per un'offensiva senza precedenti contro i narcotrafficanti.

L'Amministrazione Trump valuta attacchi con droni contro i cartelli della droga messicani

L’Amministrazione Trump sta valutando l’impiego di attacchi con droni contro i cartelli della droga in Messico, nell’ambito di un piano ambizioso per contrastare le organizzazioni criminali che trafficano stupefacenti oltre il confine meridionale degli Stati Uniti.

Le discussioni, ancora in una fase preliminare, coinvolgono la Casa Bianca, il Dipartimento della Difesa e le agenzie di intelligence.

Le ipotesi in esame includono l’uso di droni per colpire figure chiave dei cartelli e le loro infrastrutture logistiche in territorio messicano, con il possibile coinvolgimento del governo di Città del Messico.

Sebbene non siano state prese decisioni definitive, le fonti non escludono la possibilità di azioni coperte unilaterali, ossia senza il consenso del governo messicano, da attuare come ultima risorsa.

Non è chiaro se sia già avvenuto un confronto diretto con le autorità messicane su questo punto.

Verso una campagna militare senza precedenti

Se Stati Uniti e Messico decidessero di procedere congiuntamente, non si tratterebbe della prima collaborazione bilaterale nella lotta ai cartelli.

Tuttavia, l’operazione attualmente in discussione avrebbe proporzioni inedite: coinvolgerebbe un numero significativo di militari statunitensi e l’impiego di droni armati per colpire direttamente obiettivi in territorio messicano.

Nel frattempo, l’esercito americano e la CIA hanno intensificato i voli di sorveglianza sul Messico, con il consenso del governo messicano, per raccogliere informazioni in vista di una possibile offensiva.

La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha confermato l’autorizzazione a tali voli, sottolineando tuttavia i limiti della cooperazione.

La posizione del Messico

Dopo che la notizia è diventata di pubblico dominio, la presidente Sheinbaum ha ribadito con fermezza:

“Respingiamo qualsiasi forma di intervento o interferenza. Il Messico coordina e collabora, ma non si subordina. Non c’è interferenza, né ci sarà.”

La presidente ha già cominciato a rafforzare le misure di contrasto al narcotraffico fin dal suo insediamento, nell’ottobre scorso, prendendo le distanze dalla linea più morbida dell’ex presidente Andrés Manuel López Obrador.

Tra le misure adottate, l’invio di 10.000 soldati al confine settentrionale per perquisizioni mirate alla ricerca di fentanyl e l’estradizione verso gli USA di 29 presunti narcotrafficanti, tra cui Rafael "Rafa" Caro Quintero.

Pressioni e posizioni all’interno dell’Amministrazione Trump

L’Amministrazione Trump ha, intanto, già iniziato a riallocare risorse militari, d’intelligence e di polizia per preparare un’eventuale offensiva.

Anche Ronald Johnson, candidato Ambasciatore in Messico scelto da Trump, non ha escluso esplicitamente l’opzione di operazioni unilaterali sul suolo messicano.

Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth avrebbe inoltre messo in guardia funzionari messicani su tale possibilità.

Rischi diplomatici e militari

Fonti interne all’Amministrazione, tuttavia, riconoscono che un’azione militare unilaterale potrebbe compromettere in modo irreversibile la cooperazione bilaterale, soprattutto su questioni cruciali come l’immigrazione.

L’obiettivo dichiarato resta, quindi, quello di collaborare con l’esercito e le forze dell’ordine messicane, evitando operazioni che possano essere percepite come un’invasione.

Non tutti sono convinti dell’efficacia di un’azione militare. Vanda Felbab-Brown, esperta della Brookings Institution, sostiene che la cooperazione con le forze dell’ordine messicane rimanga l’opzione più efficace.

“Sganciare bombe è una soluzione allettante, ma rischiosa e di dubbia efficacia”.

Mike Vigil, ex capo delle operazioni internazionali della DEA, ha aggiunto che i cartelli non operano strutture facilmente colpibili, come grandi laboratori:

“Utilizzano metodi rudimentali e diffusi, difficili da individuare con precisione”.

Un precedente nella strategia “kingpin”

Tra il 2006 e il 2012, durante la presidenza di Felipe Calderón in Messico, Stati Uniti e Messico condussero una campagna congiunta denominata “strategia del kingpin”, volta a neutralizzare i leader dei cartelli.

Gli USA fornirono intelligence, addestramento e supporto operativo. Tuttavia, l’eliminazione dei capi criminali generò anche vuoti di potere e violente guerre interne tra bande rivali.

Secondo alcuni ex funzionari, la campagna stava funzionando prima di essere abbandonata. Altri però, più critici, sottolineano che portò a una frammentazione incontrollata del crimine organizzato.

Derek Maltz, attuale capo ad interim della DEA, ha affermato che la designazione dei cartelli come organizzazioni terroristiche ha ampliato gli strumenti a disposizione del governo americano. Pur auspicando il coinvolgimento del governo messicano, Maltz ha detto:

“È il loro Paese e crediamo nelle partnership. Ma a un certo punto si tratta della sicurezza dei nostri figli”.
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