La vittoria dei Dem e il paradosso repubblicano: forti con Trump, deboli senza lui
Commento sulla nottata elettorale, tra i democratici rinvigoriti e il campanello d'allarme per un partito repubblicano che non può più contare solo sull'effetto dell'onda trumpista.
"È pur vero che le elezioni in Virginia e New Jersey, che si svolgono nell’anno successivo alle presidenziali, tradizionalmente vengono vinte dal partito che non controlla la Casa Bianca. Ma è altrettanto vero che questi due stati, in particolare la Virginia, non sono mai stati così “blu” come al giorno d’oggi: il Mother of States è stato vinto da Biden lo scorso anno con 10.1 punti di scarto, e la sua area a nord al confine con DC è un bacino di voti sempre più ampio per i Dem.
Per questo la vittoria dei repubblicani è notevole, anche considerando l’affluenza al voto, che è stata la più alta di sempre per delle elezioni per il governatore della Virginia. [...]
Occorre analizzare i motivi che hanno portato a questo sorprendente risultato, che sono essenzialmente due: turnout & persuasion.
L’affluenza, come detto, è stata alta: intorno al 56%, se non oltre, quando tutti i voti saranno conteggiati. Non ai livelli del 2020 (75%), ma superiore a quella del 2017 (47%). [...]
In questo caso invece i repubblicani sono riusciti a ribaltare il trend dello stato proprio perché sono stati loro a trascinare in alto l’affluenza: in tutte le contee vinte da Youngkin la partecipazione è stata superiore a quella di 4 anni fa, in alcuni casi estremamente superiore, non lontana da quella delle presidenziali. [...]
Più che uno scarso entusiasmo dei democratici, quindi, il fattore determinante è stata l’ancor più robusta partecipazione al voto degli elettori repubblicani, ben oltre gli standard per questo tipo di elezione. Le zone rurali e quelle a maggioranza bianca sono state quelle che hanno registrato un’affluenza maggiore rispetto al resto dello stato.
Il secondo fattore determinante è stata la “persuasion”, cioè la capacità di Youngkin di riuscire a catturare il voto di una quota di elettori di Biden.
Come potrete facilmente immaginare, questo non è il commento sulle elezioni della notte appena trascorsa. È un sunto di ciò che avevo scritto esattamente 4 anni fa, nell’ultima tornata elettorale speculare a questa, per commentare il trionfo dei repubblicani in Virginia con Glenn Youngkin, oltre al buon risultato di Jack Ciattarelli nelle elezioni per il governatore del New Jersey.
Questa volte le cose sono andate molto diversamente, con i democratici che hanno fatto cappotto. Non c’è nemmeno bisogno di snocciolare i dati: hanno vinto in maniera convincente in tutte le sfide al voto.
Quelle parole del 2021 non possono che ricollegarsi a ciò che è appena accaduto.
Aldilà delle considerazioni prettamente politiche, sul piano numerico-analitico si può notare come non sia cambiato assolutamente nulla.
I fattori decisivi nelle elezioni di questo tipo, in un anonimo anno elettorale non presidenziale né di midterm, rimangono sempre i soliti due: turnout e persuasion, affluenza e capacità persuasiva.
Nelle elezioni nell’anno successivo alle presidenziali il partito all’opposizione beneficia sempre largamente di questi due fattori.
Potrei prendere quel pezzo di 4 anni fa e rifarlo al contrario, cambiando solamente i soggetti. Quest’anno sono stati i democratici a beneficiare sia di un grosso vantaggio nell’affluenza, particolarmente evidente soprattutto in Virginia - dove le zone rurali sono collassate, mentre le zone intorno a DC sono schizzate a livelli quasi presidenziali -, sia di un grosso vantaggio nel voto dell’elettorato indipendente, quello più volatile da un’elezione all’altra.
Inoltre, questi stati rappresentano un terreno fertile per i democratici, essendo stati vinti quasi ininterrottamente dall'asinello nelle ultime decadi: in un contesto già di per sé favorevole, “giocare in casa” dà una spinta ulteriore verso l’alto.
Il fattore Trump, lo shutdown, i dazi, l’inflazione, la situazione economica non brillante sicuramente non hanno giocato un ruolo positivo per i repubblicani, ma la realtà è che questo tipo di elezioni sono sempre segnate fin dall’inizio a favore del partito di opposizione.
Facciamo due conti, per un confronto con la scorsa tornata.
Alle elezioni presidenziali del 2020 i repubblicani persero di circa 10 punti in Virginia e di 16 in New Jersey. Nelle elezioni per i governatori nel 2021 il GOP vinse di 2 punti in Virginia (+12) e perse di 3 in New Jersey (+13). Uno spostamento verso destra di 12-13 punti in un anno.
Nel 2024, invece, i democratici sono usciti vittoriosi di 6 punti in entrambi gli stati. Quest’anno i risultati ci restituiscono una vittoria per i dem di circa 13 punti in New Jersey (+7) e di circa 15 punti in Virginia (+9). Uno shift di 7-9 punti verso sinistra: un buon risultato che rimane comunque da inquadrare nel contesto appena citato. Cambiamenti quasi "fisiologici" in due stati dove il vento dell’anti-trumpismo soffia sicuramente più forte che altrove.
Rispetto al 2024, il maggior guadagno per i democratici si concentra in particolare proprio dove avevano maggiormente perso terreno negli ultimi tempi: zone urbane e zone ad alta presenza di popolazione ispanica e nera. Questo dato va letto però sempre alla luce del contesto: è inappropriato confrontare le mele (le elezioni presidenziali) con le pere (le elezioni statali). Sarebbe sempre opportuno confrontare elezioni dello stesso tipo, per via dei vari fattori che caratterizzano e influenzano ogni elezione. Non possiamo quindi conoscere e affermare con certezza i motivi del miglioramento dei democratici in certe aree: può essere dovuto alla maggior capacità di aver portato al voto i propri elettori, alla scarsa motivazione degli avversari, all’aver convinto l’elettorato più indeciso e moderato o, molto più probabilmente, a un mix di tutti questi fattori.
Questi risultati, però, difficilmente ci dicono qualcosa a un livello più ampio rispetto a quello statale. Possono dirci molto invece riguardo alle prossime elezioni di midterm: il contesto e le condizioni il prossimo anno saranno molto simili a questi, con un elettorato molto più motivato dell’altro e un’affluenza che sarà su questi livelli o leggermente più elevata.
Merita un discorso a parte New York, dove la sfida era più o meno interna ai democratici: Mamdani ha beneficiato di una forte spinta dell’elettorato giovane e progressista e anche delle minoranze, mentre a Cuomo non è bastato l’aver catturato una quota considerevole di repubblicani (il 73% secondo l’exit poll aggiornato di NBC), l'aver ottenuto una importante fetta di elettorato democratico bianco e moderato (ha ottenuto circa il 32% del voto degli elettori del partito) e l'aver vinto tra gli indipendenti (46% vs 43%). La città appare divisa praticamente a metà tra i pro e i contro Mamdani, con la spinta verso il rinnovamento che ha prevalso di poco proprio grazie a una mobilitazione record dei segmenti sociali più insofferenti.
Si segnalano larghe e convincenti vittorie dei democratici anche in California e in altre sfide lungo gli States caratterizzate da un non grande appeal e da uno scarso hype.
Con questo brusco risveglio il partito dell’elefantino torna sul pianeta Terra dopo l’euforia e l’onda lunga del successo dello scorso anno e si aprono, come accennato, degli importanti interrogativi per le elezioni di metà mandato del 2026. Il trumpismo ha profondamente cambiato la pelle del partito repubblicano, che è passato dall'essere il partito degli elettori bianchi maggiormente istruiti (elettori ad alta propensione al voto), all'essere un partito più ampio e plurale, più inviso all'establishment ma più aperto alla working-class e alle minoranze etniche (elettorati molto meno propensi a recarsi al voto). Questo ha portato un beneficio a livello presidenziale, ma un forte handicap in tutte le altre elezioni: il GOP non è più il partito della bassa affluenza, ma è diventato il partito dell'alta affluenza. Negli ultimi anni i repubblicani non hanno praticamente mai toccato palla al di fuori delle elezioni presidenziali, con una vittoria stiracchiata alla Camera nel 2022 condita da una serie di sconfitte più o meno eclatanti nelle elezioni suppletive e in generale nelle off-year elections (le elezioni che si svolgono al di fuori di tornate elettorali generali).
Dice (parzialmente) il vero Trump quando afferma che i repubblicani hanno perso perché Trump non era sulla scheda. Il GOP ha dimostrato di saper essere trascinato solamente dal suo leader, con una quota considerevole di elettori che non si scomoda ad andare a votare altri candidati; elettori che non sono repubblicani ma, appunto, trumpiani: probabile che molti di loro abbiano anche un curriculum di voto più vicino al partito democratico o mixato.
La nuova conformazione del GOP porta quindi a rischi di questo genere: puoi vincere più facilmente le presidenziali grazie al supporto degli elettori meno istruiti, degli ispanici nelle zone di confine e dei neri nei centri urbani; ma difficilmente puoi essere competitivo nelle altre elezioni, in particolare in stati tradizionalmente più lontani.
Le midterm, con questo andazzo, si preannunciano complicate e probabilmente non dissimili dal 2018. Questo dovrebbe portare a delle riflessioni interne al partito: ha senso la battaglia intrapresa da molti stati repubblicani per ridisegnare i distretti? Nel 2026 la soglia di sicurezza per vincere un distretto per il GOP sarà molto alta e di distretti "blindati" non ce ne saranno moltissimi. Creare con tanta sicumera nuovi distretti in bilico, tutt'altro che certi, nel tentativo un po' arrogante di espandersi, potrebbe alla fine ritorcersi contro, ampliando al contrario le conquiste dei democratici.
Trump, inoltre, sulla scheda elettorale non ci sarà più, e questo è un fattore con cui fare i conti nel prossimo futuro. Il suo carisma, il suo trascinamento, il suo appeal verso l'elettorato più fidelizzato non è detto che si trasferisca automaticamente a una classe dirigente che ha dimostrato di non essere all'altezza del leader: i democratici del post-Obama ne sanno qualcosa.