La trasformazione di Marco Rubio
Il segretario di Stato ha licenziato oltre 1.300 dipendenti e smantellato agenzie chiave, suscitando critiche per la svolta isolazionista e l’allineamento al programma Maga del presidente.

A luglio 246 funzionari del servizio diplomatico e 1.107 dipendenti civili del dipartimento di Stato sono licenziati con un'azione senza precedenti nei 236 anni dell’istituzione. Come spiega il Financial Times, a sorprendere molti è stata la mano che ha guidato l’operazione: Marco Rubio, segretario di Stato.
Considerato un tempo un simbolo del soft power americano, Rubio sta smantellando l’apparato diplomatico in modi che, secondo i critici, nulla avevano a che fare con il suo percorso politico passato. Il senatore democratico Chris Van Hollen, che aveva votato per la sua nomina, ha espresso la delusione di parte del Congresso: “Credevo che avresti difeso la democrazia e i diritti umani. Hai fatto l’opposto".
Rubio rappresenta il cambiamento della visione americana del proprio ruolo internazionale sotto la presidenza Trump. Gli Stati Uniti, un tempo perno dell’ordine internazionale post-bellico, si sono ritirati verso un isolazionismo “America First”, improntato al disprezzo per le istituzioni multilaterali e per gli alleati storici, con una politica estera ridotta a logiche transazionali.
Sin dall’inizio del mandato, Rubio ha allineato il dipartimento di Stato all’agenda populista della Casa Bianca. Ha smantellato l’US Agency for International Development (USAID), ridimensionato i dipartimenti per la promozione della democrazia e dei diritti umani e di fatto chiuso la storica emittente Voice of America. Martedì ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Unesco, accusando l’agenzia di portare avanti “cause sociali e culturali divisive”. Ha difeso queste scelte, definendo il dipartimento “un’agenzia burocratica e gonfiata, più fedele a ideologie radicali che agli interessi nazionali”.
Un tempo Rubio era considerato un sostenitore degli aiuti esteri e delle alleanze storiche di Washington, ma oggi sembra aver abbracciato la linea di Trump, ostile ai finanziamenti internazionali e decisa a ridurre drasticamente il personale federale. Alcuni critici lo accusano di opportunismo, ritenendo che stia sacrificando i suoi principi per puntare alla nomination repubblicana del 2028.I suoi alleati respingono queste accuse e sottolineano la continuità di fondo nella sua politica estera, in particolare per la linea dura su Cina, Russia, Iran e Venezuela.
Il segretario di Stato, definito “little Marco” da Trump nel 2016, è ora uno dei membri più influenti del gabinetto. Oltre a guidare il dipartimento di Stato, è consigliere per la sicurezza nazionale ad interim, amministratore ad interim di USAID e capo ad interim della National Archives and Records Administration.
Il suo ascendente è riconosciuto anche dai falchi dell’amministrazione. Stephen Miller, vice capo di gabinetto, lo ha definito “il Kissinger della nostra epoca”. Secondo Daniel Drezner, professore alla Tufts University, Rubio incarna la trasformazione di un certo tipo di repubblicani che hanno visto nella globalizzazione un errore, anche se nel suo caso “sembra più una mossa tattica che una scelta di principio”.
Il passato di Rubio racconta una storia diversa. Figlio di immigrati cubani, eletto alla Camera della Florida a 28 anni, ha costruito la sua immagine sul sogno americano. Nel 2010, sfidò il governatore moderato Charlie Crist per il Senato, diventando uno dei protagonisti dell’ondata Tea Party. Negli anni successivi sostenne una politica estera neoconservatrice, avvertendo dei pericoli rappresentati da Russia, Cina e Iran, e difendendo commercio libero e diritti umani. Fu anche tra i promotori della riforma sull’immigrazione della “Gang of Eight”, che prevedeva una via alla cittadinanza per 11 milioni di immigrati irregolari.
All’epoca, Rubio si dichiarava comprensivo verso gli immigrati, sostenendo che chi veniva negli Stati Uniti “fa esattamente ciò che faremmo se non potessimo sfamare le nostre famiglie.” Ma con l’ascesa di Trump la sua retorica è cambiata radicalmente. Nel 2023 ha pubblicato Decades of Decadence, un pamphlet che critica le élite e le politiche economiche neoliberali, nonostante fosse stato in passato un loro sostenitore.
Come segretario di Stato, Rubio ha completato lo smantellamento di USAID: l’83% dei programmi è stato cancellato, il 94% del personale licenziato e le funzioni residue trasferite al dipartimento di Stato. Ha inoltre bloccato gran parte dei programmi di reinsediamento dei rifugiati, accelerando invece le richieste di asilo degli afrikaner sudafricani, nonostante le accuse di persecuzioni razziali siano state ampiamente contestate.
Tra i risultati rivendicati, Rubio cita una tregua tra India e Pakistan, un accordo di pace tra Congo e Rwanda, l’impegno della Nato ad aumentare le spese militari fino al 5% del PIL entro il 2035 e gli attacchi ai siti nucleari iraniani. “E non sono nemmeno passati sei mesi,” ha detto con orgoglio.
Tuttavia, l’impatto interno delle sue politiche resta controverso. Ha revocato i visti agli studenti stranieri coinvolti in proteste contro la guerra di Israele a Gaza, ha imposto controlli sui social media dei richiedenti visto e firmato un accordo con El Salvador per la detenzione di migranti criminali senza regolare procedura. A Washington, persino i diplomatici licenziati che lo conoscevano lo accusano di aver tradito il personale e la missione del dipartimento di Stato.
Nonostante la difesa dei suoi collaboratori, che parlano di coerenza e pragmatismo, Rubio resta una figura divisiva, simbolo del profondo mutamento dell’approccio americano al mondo sotto la guida del presidente Trump.