La sfida di Trump sul divieto di TikTok: si alza l’asticella del potere esecutivo?
Nonostante una legge approvata a larghissima maggioranza da entrambe le Camere del Congresso e confermata da una sentenza unanime della Corte Suprema, TikTok continua a operare negli Stati Uniti, in aperta contraddizione con il provvedimento che ne avrebbe dovuto imporre la chiusura.

La norma, considerata fondamentale dal Congresso per la sicurezza nazionale nel fronteggiare le presunte ingerenze cinesi, prescriveva il blocco dell’app e sanzioni severe per le società che ne avessero supportato il funzionamento senza un’apposita transizione di proprietà.
Eppure, l’Amministrazione Trump ha scelto di ignorare apertamente le condizioni stabilite dal Congresso, concedendo a TikTok una proroga di 75 giorni che, a detta dei legislatori stessi, non avrebbe dovuto essere possibile in assenza di un accordo vincolante sulla cosiddetta “qualified divestiture” di ByteDance, la società madre legata al governo cinese.
La legge era nata con un consenso bipartisan, motivato dall’allarme di alcuni esponenti repubblicani che consideravano TikTok pericoloso per la gioventù americana e per la sicurezza nazionale.
Il senatore Tom Cotton, fra i più feroci critici dell’app, aveva evidenziato come la piattaforma fosse una minaccia non negoziabile. In linea con tale severità, il testo normativo approvato dal Congresso aveva perciò previsto sanzioni economiche devastanti per le aziende che non si fossero adeguate.
Tuttavia, il giorno stesso dell’insediamento, Trump ha firmato un ordine esecutivo che assicura temporanea immunità a TikTok e alle imprese ad essa collegate, sostenendo di dover valutare ulteriormente i rischi per la sicurezza nazionale prima di applicare il divieto.
Il medesimo ordine afferma che il presidente ha il diritto di bloccare eventuali iniziative di singoli Stati e di conferire un’esclusiva autorità di esecuzione al Dipartimento di Giustizia.
L’effetto politico di questa mossa è evidente: da un lato, i cosiddetti “China hawks” si sono ritrovati spiazzati, a cominciare da Cotton stesso, che ha sensibilmente ammorbidito i toni; dall’altro, esponenti democratici, come il leader di minoranza al Senato Chuck Schumer, tacciono o mostrano una sorprendente flessibilità, forse per evitare di perdere il consenso dei numerosi elettori legati all’universo TikTok.
Nel frattempo, ByteDance approfitta di questa finestra di ossigeno e attende un’eventuale trattativa che, al momento, non sembra produrre alcun accordo vincolante.
Questa vicenda getta luce su uno scenario più ampio, in cui si manifesta un utilizzo spregiudicato del potere esecutivo.
Se il presidente può, di fatto, decidere di non far rispettare una legge su basi prettamente politiche o personali, si profila il rischio che in futuro ignori qualsiasi altra norma ritenuta “scomoda”.
Alcuni analisti evocano gli spettri del passato, ricordando i “signing statements” dell’era di George W. Bush, quando la Casa Bianca si rivendicò la facoltà di sospendere parti di leggi federali in nome di un’interpretazione assai ampia dei poteri presidenziali.
Ma la verità è che l’ordine esecutivo su TikTok sembra andare ancor oltre, garantendo a un’unica azienda un trattamento di favore e lasciando intendere che la Casa Bianca possa ripetere questa strategia su temi come anti riciclaggio, sanzioni internazionali o lotta alla corruzione all’estero.
A complicare ulteriormente il quadro c’è l’incertezza su ciò che succederà alla scadenza della proroga.
Se la Casa Bianca non dovesse trovare una soluzione che soddisfi i parametri imposti dal Congresso, rimarrebbe aperto il dubbio se Trump intende continuare a sospendere indefinitamente l’applicazione della legge o se si assumerà la responsabilità di modificarla unilateralmente.
In entrambi i casi, la dottrina presidenziale che trapela è tanto semplice quanto inquietante: decidere caso per caso quali norme vengano applicate e quali no, anche a seconda delle contingenze politiche e del tornaconto personale.
Se e come si chiuderà la partita con TikTok non è ancora dato sapere. Quel che emerge con chiarezza è che la vicenda è diventata un banco di prova per la capacità degli altri poteri dello Stato di frenare un presidente che sembra ormai convinto di possedere un’ampia discrezionalità.
Il tema della separazione dei poteri, di fronte alla tentazione di estendere oltre misura la sfera esecutiva, si rivela più vivo che mai.
Per TikTok, intanto, i server rimangono accesi, sostenuti da accordi tutt’altro che trasparenti; e per il Paese, la questione si amplia a un interrogativo più grande: dove finisce la legge e inizia l’interesse personale di chi governa?