La Russia nella NATO: quando Clinton ci provò e la Germania disse no
Documenti declassificati rivelano che negli anni '90 l'amministrazione americana considerò seriamente l'ingresso di Mosca nell'Alleanza Atlantica, ma Berlino bloccò l'iniziativa temendo conseguenze destabilizzanti per l'Europa.

L'Amministrazione del presidente americano Bill Clinton all'inizio degli anni '90 considerò seriamente la possibilità di far entrare la Russia nella NATO. A bloccare questa prospettiva fu principalmente il governo tedesco guidato dal cancelliere Helmut Kohl, preoccupato che l'ingresso di Mosca potesse destabilizzare l'alleanza dall'interno. La rivelazione emerge da documenti precedentemente riservati analizzati dal magazine tedesco Der Spiegel, provenienti dall'Istituto di storia contemporanea e dall'archivio personale di uno dei protagonisti di quegli eventi.
La questione dell'adesione russa alla NATO non era una semplice ipotesi diplomatica, ma rappresentava un obiettivo dichiarato della leadership post-sovietica. Già nel 1991, prima ancora del collasso formale dell'URSS, Boris Eltsin aveva proclamato l'ingresso nell'Alleanza Atlantica come "obiettivo politico a lungo termine" della Russia. Il Ministro degli Esteri russo di allora, Andrei Kozarev, spingeva affinché Washington trattasse la Russia alla stregua delle altre "nuove democrazie" dell'Europa orientale che aspiravano all'integrazione nelle strutture occidentali.
Dal punto di vista russo, esisteva quella che Mosca considerava un'intesa di fondo risalente ai negoziati del 1990 sulla riunificazione tedesca: la Russia avrebbe rinunciato alla sua egemonia sull'Europa orientale in cambio del riconoscimento come partner paritario dell'Occidente sul piano politico e militare. I dirigenti russi ritenevano di aver rispettato la loro parte dell'accordo informale e interpretavano le richieste di adesione alla NATO da parte degli ex satelliti sovietici come mosse dettate da timori infondati di un ritorno dell'imperialismo russo.
La proposta di Eltsin e le resistenze occidentali
Nel gennaio 1994, durante una visita di Clinton a Mosca, Eltsin avanzò una proposta inaspettata: far entrare prima la Russia nella NATO e solo successivamente gli altri Paesi dell'Europa orientale. Clinton respinse questa sequenza temporale. Nello stesso mese, al vertice NATO di Bruxelles, l'alleanza approvò il programma "Partenariato per la pace", che prevedeva forme di cooperazione militare con gli ex membri del Patto di Varsavia.
Strobe Talbott, inviato speciale americano per l'ex URSS e amico personale di Clinton, volò direttamente da Mosca a Bruxelles per comunicare agli alleati la posizione di Washington: l'espansione della NATO verso est era considerata una decisione già presa e nel giro di un decennio anche la Russia avrebbe dovuto essere ammessa nell'Alleanza.
Tuttavia, già nell'agosto 1994, quando il programma "Partenariato per la pace" divenne operativo con la Russia come partecipante principale, i diplomatici tedeschi riferivano da Washington che la linea Clinton-Talbott non trovava sostegno né al Dipartimento di Stato, né al Pentagono, né alla Central Intelligence Agency, né nello stesso staff della Casa Bianca, probabilmente nel Consiglio di sicurezza nazionale.
Le obiezioni tedesche
La Germania rappresentò il principale ostacolo all'ingresso russo nella NATO. Sia il cancelliere Kohl che il vicecancelliere e Ministro degli Esteri Klaus Kinkel e il Ministro della Difesa Volker Rühe si opposero fermamente. Le loro preoccupazioni erano molteplici e articolate su diversi livelli.
In primo luogo, i dirigenti tedeschi temevano che l'ammissione della Russia avrebbe generato tali contraddizioni interne da rendere l'alleanza praticamente ingovernabile. Non avevano certezze sulla continuità del percorso democratico e di riforme di mercato intrapreso da Mosca e paventavano che la Russia potesse tornare a costituire una minaccia per l'Europa come durante la Guerra Fredda [con il senno di poi, avevano ragione da vendere, ndr]. In quello scenario, sostenevano, sarebbe stato molto più difficile contenerla se fosse stata già membro della NATO, organizzazione nata proprio per il contenimento sovietico.
L'obiezione principale riguardava però gli obblighi di difesa collettiva: in caso di conflitto russo, per esempio con la Cina, i soldati europei si sarebbero trovati costretti a combattere all'altro capo del continente. Come nota Der Spiegel, un decennio dopo la cancelliera Angela Merkel avrebbe utilizzato argomentazioni simili per opporsi all'ingresso dell'Ucraina nella NATO, solo che al posto della Cina il potenziale avversario era tornata ad essere la Russia stessa.
La diplomazia del silenzio
Il governo tedesco adottò una strategia di estrema cautela diplomatica per evitare di compromettere le relazioni bilaterali con Mosca. Berlino evitò accuratamente di esprimere pubblicamente le proprie obiezioni all'adesione russa. Quando Kozarev chiese direttamente al suo omologo Kinkel quali fossero i problemi, questi rispose evasivamente che l'alleanza "al momento" non era pronta per l'ingresso della Russia, senza fornire obiezioni di principio.
Kohl andò oltre, evitando completamente l'argomento nei suoi incontri con Eltsin. Il presidente russo, dal canto suo, non sollevava la questione, convinto che il sostegno americano fosse sufficiente. Nel frattempo, il cancelliere tedesco lavorava per rafforzare i legami economici e commerciali tra Germania e Russia e riteneva prioritario sostenere Eltsin in vista delle elezioni presidenziali del 1996.
Parallelamente, Kohl era irritato dall'atteggiamento del presidente polacco Lech Wałęsa, che paragonava la Russia a un orso da rinchiudere in gabbia e insisteva per un'adesione immediata della Polonia alla NATO, senza considerare gli interessi dei membri esistenti dell'alleanza, in particolare i delicati rapporti tedesco-russi. Il cancelliere tedesco proponeva di far entrare prima Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nell'Unione Europea, rinviando l'allargamento della NATO al 2000. Clinton però giudicò questi tempi troppo lunghi.
L'epilogo e le conseguenze
La partita si concluse con l'avvio nel 1997 dei negoziati ufficiali per l'adesione di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria alla NATO, che divennero Paesi membri effettivi nel 1999. Il loro ingresso nell'Unione Europea avvenne solo nel 2004. Poiché le decisioni sull'ammissione di nuovi membri nella NATO richiedono l'unanimità, né la Russia né successivamente l'Ucraina furono mai accolte nell'Alleanza.
Nelle sue memorie pubblicate nel 2019, Kozarev descrive la questione dell'adesione russa alla NATO come una "cartina di tornasole": se la Russia fosse stata accettata, l'alleanza si sarebbe confermata come baluardo del mondo libero; in caso contrario, si sarebbe rivelata un blocco anti-russo. Le modalità con cui avvenne l'allargamento della NATO lo convinsero che prevalse la seconda interpretazione, segnando un punto di svolta nelle relazioni tra Russia e Occidente che continua a influenzare la geopolitica europea fino ai giorni nostri.
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