La Federal Reserve mantiene i tassi invariati come primo atto dell'era Trump 2.0

La Banca Centrale americana conferma i tassi tra il 4,25% e il 4,5% mentre si prospetta uno scontro con il neo presidente sulle politiche monetarie.

La Federal Reserve mantiene i tassi invariati come primo atto dell'era Trump 2.0
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In un clima di crescente tensione tra la Banca Centrale e la Casa Bianca di Donald Trump, la Federal Reserve ha deciso ieri di mantenere invariati i tassi di interesse, prendendo in questo modo la prima decisione significativa dall'inizio del secondo mandato del presidente Donald Trump.

La scelta della Banca Centrale americana di confermare i tassi in una forbice tra il 4,25% e il 4,5% rappresenta una chiara affermazione di indipendenza, proprio mentre si profilano all'orizzonte potenziali contrasti con la nuova Amministrazione.

Inflazione e cautela: le motivazioni della Fed

La decisione della Fed riflette una particolare cautela nell'approccio alla gestione dell'inflazione, che negli ultimi mesi del 2024 ha mostrato preoccupanti segnali di resistenza.

Un elemento significativo in tal senso emerge dalla più recente dichiarazione di politica monetaria, dove è stata volutamente omessa la frase che faceva riferimento ai "progressi" sul fronte dell'inflazione, presente invece nelle precedenti comunicazioni.

Nonostante i funzionari della Fed mantengano la fiducia nel raggiungimento dell'obiettivo del 2%, appare evidente come la vittoria definitiva su questo fronte non sia ancora a portata di mano.

Le prospettive economiche si complicano ulteriormente alla luce delle politiche annunciate dalla nuova Amministrazione Trump.

Gli economisti hanno lanciato l'allarme su tre fronti principali: l'introduzione di dazi in misura significativa, le politiche di espulsione di massa dei migranti irregolari ed il focus eccessivo sulla produzione petrolifera domestica.

Tutte queste misure potrebbero potenzialmente vanificare i progressi ottenuti dalla Fed negli ultimi anni sul fronte dell'inflazione.

Particolare preoccupazione desta l'annuncio di Trump di voler imporre dazi del 25% su Messico e Canada dal 1° febbraio, una mossa che potrebbe costringere la Fed a riconsiderare ulteriormente la propria strategia sui tassi.

Le politiche espansive promesse da Trump - che includono deregolamentazione e l'estensione dei tagli fiscali del 2017 - potrebbero stimolare la crescita economica ma anche aumentare ulteriormente il rischio di nuove spinte inflazionistiche.

Le simulazioni condotte dalla Banca Centrale nel 2018, durante la prima Amministrazione Trump, avevano già evidenziato come in scenari di dazi reciproci e aspettative inflazionistiche in aumento, potrebbe persino rendersi necessaria una ripresa dell'aumento dei tassi.

Tensioni in arrivo all'orizzonte

Il rapporto tra Fed e presidenza si preannuncia particolarmente teso, con Trump che ha recentemente dichiarato di ritenere che un presidente dovrebbe avere voce in capitolo nella definizione dei tassi di interesse.

Una posizione che si scontra frontalmente con l'indipendenza della Banca Centrale, principio ribadito con fermezza dal presidente della Fed Jerome Powell, che ha categoricamente escluso la possibilità di dimissioni su richiesta del presidente, sottolineando come un suo licenziamento o declassamento non sia "previsto dalla legge".

La Fed si trova ora a navigare in acque particolarmente agitate. Powell ha efficacemente sintetizzato l'attuale momento di incertezza paragonando la situazione a "guidare nella nebbia o camminare in una stanza buia piena di mobili".

La vera sfida per la Fed sarà ora quella di mantenere il difficile equilibrio tra il controllo dell'inflazione e la stabilità economica, proprio mentre si trova a fronteggiare anche pressioni politiche sempre più intense ed un panorama economico in rapida evoluzione.

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