La crisi dei ragazzi negli Stati Uniti

A inizio secolo gli Stati Uniti risposero all’emergenza giovanile con scuole obbligatorie e nuove istituzioni civiche. Oggi, tra isolamento sociale e difficoltà educative, il problema si ripropone e richiede soluzioni simili.

La crisi dei ragazzi negli Stati Uniti

All’inizio del Novecento negli Stati Uniti si parlava di un vero e proprio “boy problem”. Ragazzi per strada, assenze scolastiche, microcriminalità. Fenomeni che si diffondevano con i rapidi cambiamenti sociali: industrializzazione, immigrazione, urbanizzazione e disuguaglianze crescenti. A quella crisi la società americana rispose non solo con politiche pubbliche come la scuola obbligatoria, ma soprattutto con una straordinaria mobilitazione civica: nacquero in pochi anni organizzazioni come i Big Brothers (1904), le Boys’ Clubs (1906), i Boy Scouts (1910), le Girl Scouts (1912) e i 4-H (1912).

Oggi, secondo gli studiosi Robert D. Putnam e Richard V. Reeves, gli Stati Uniti si trovano di fronte a un fenomeno analogo. In un contesto nuovamente segnato da trasformazioni tecnologiche, flussi migratori e disuguaglianze economiche, molti giovani uomini faticano a trovare un posto nella società. Dal 2010 i tassi di suicidio tra i ragazzi sono cresciuti di un terzo, superando quelli degli uomini di mezza età. La quota di lauree conseguite da uomini è scesa al 41 per cento, livello più basso dal 1970. Uno su dieci tra i 20 e i 24 anni non studia né lavora, il doppio rispetto al 1990.

I segnali di allarme non mancano. In California il governatore Gavin Newsom ha firmato un ordine esecutivo per affrontare quella che ha definito “la crisi di connessione e opportunità per uomini e ragazzi”. Iniziative simili sono state annunciate dai governatori Gretchen Whitmer (Michigan), Spencer Cox (Utah) e Wes Moore (Maryland). Quest’ultimo ha dichiarato: “La nostra missione di sostenere uomini e ragazzi non è in conflitto con i nostri valori di non lasciare nessuno indietro; è in sintonia con essi”.

La crisi non riguarda solo lavoro e titoli di studio, ma anche legami sociali. Secondo Gallup, un quarto degli uomini tra i 15 e i 34 anni ha sperimentato molta solitudine nel giorno precedente all’intervista. Uno su sette dice di non avere amici stretti, contro il 3 per cento del 1990. Due terzi degli uomini sotto i 30 anni credono che “a nessuno importi se gli uomini stanno bene”. L’isolamento sociale diventa terreno fertile per voci reazionarie online, capaci di trasformare sofferenze reali in risentimento. Un meccanismo che richiama gli studi di Hannah Arendt sulla vulnerabilità dei giovani uomini isolati alle ideologie totalitarie degli anni Trenta.

Gli autori sottolineano che le difficoltà dei ragazzi non possono essere affrontate con “dita puntate” ma con “mani tese”. E aggiungono che sostenere uomini e ragazzi non significa trascurare le battaglie per le donne: dal divario salariale alla rappresentanza nelle posizioni di vertice, fino all’accesso alla salute riproduttiva. “Possiamo fare due cose allo stesso tempo — scrivono — prenderci cura sia delle ragazze che dei ragazzi”.

Se nel primo Novecento le riforme scolastiche non bastarono, la risposta civica produsse risultati duraturi. I Boy Scouts, ad esempio, combinarono attività ricreative all’aperto con educazione morale. Lo sport divenne strumento educativo: nel 1891 James Naismith inventò il basket a Springfield, nel Massachusetts, come attività adatta agli spazi chiusi. I campi estivi si moltiplicarono, le chiese promossero il movimento del “muscular Christianity”, mentre figure di riferimento come allenatori, pastori e mentori svolsero un ruolo decisivo. Una lezione che oggi, ricordano Putnam e Reeves, dovrebbe essere recuperata. Anche l’ex presidente Barack Obama ha osservato che la società deve creare più strutture in cui uomini adulti possano guidare i ragazzi, fungendo da “anziani” a cui guardare.

Il quadro odierno è però diverso. Molte organizzazioni nate per i ragazzi sono diventate miste, servendo in prevalenza le ragazze. I Boy Scouts non esistono più, ridenominati Scouting America, con circa un quinto di membri femminili; le Girl Scouts restano invece solo femminili e hanno oggi il 50 per cento di iscritte in più rispetto ai coetanei maschi nello scoutismo. Anche la Y.M.C.A., che dal 1978 non discrimina più per genere, ha oggi la maggioranza di membri, dipendenti e volontari donne, mentre la Y.W.C.A. resta esclusivamente femminile.

A mancare non sono solo istituzioni dedicate, ma anche volontari uomini. Nei programmi Big Brothers Big Sisters le donne sono quasi il doppio degli uomini, con conseguente squilibrio nelle liste d’attesa per un mentore: i ragazzi aspettano più a lungo, fino a un anno. Solo il 20 per cento dei giovani volontari di 4-H è maschio. E anche lo sport registra un calo: i ragazzi delle superiori che praticano attività sportiva sono passati dal 50 per cento nel 2012 al 41 per cento nel 2023, con percentuali ancora più basse tra quelli a basso reddito.

Alcuni ostacoli derivano dai timori legati agli scandali di abusi nella Chiesa cattolica e nei Boy Scouts, che hanno portato a risarcimenti per 7 miliardi di dollari. La sicurezza dei minori è oggi prioritaria, ma la paura di ambienti solo maschili limita la partecipazione. Intanto settori occupazionali in crescita, come la sanità, sono a prevalenza femminile, mentre salari stagnanti e calo dei matrimoni nei ceti popolari accentuano il senso di esclusione.

Secondo gli autori, serve una nuova stagione di innovazione civica. Organizzazioni come Big Brothers Big Sisters hanno avviato iniziative mirate, come il Big Draft in collaborazione con la N.F.L., per attrarre più volontari uomini. L’obiettivo non è solo sostenere i ragazzi, ma anche dare agli uomini stessi nuove occasioni di impegno e senso.

Oggi come cento anni fa, conclude l’analisi, “abbiamo ragazzi in cerca di guida, uomini in cerca di scopo e istituzioni civiche in cerca di volontari”. La crisi maschile del 2025, come il “boy problem” di inizio Novecento, richiede un nuovo appello agli uomini — e che essi siano pronti a rispondere.

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