La Corte Suprema limita le ingiunzioni che hanno bloccato il piano di Trump sullo ius soli
I giudici hanno deciso di porre un limite con voto 6-3 alle ingiunzioni a livello nazionale dei giudici federali, permettendo temporaneamente l'attuazione della controversa proposta che vuole cancellare lo ius soli per i figli di immigrati irregolari in alcune zone del Paese.
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha consentito oggi all'Amministrazione Trump di procedere parzialmente con l'attuazione della sua controversa proposta per eliminare la cittadinanza automatica per nascita. I giudici hanno votato 6-3, con i giudici liberal in forte dissenso, per limitare le ingiunzioni preliminari dei tribunali inferiori a ciò che serve per dare un sollievo ai singoli ricorrenti che hanno il diritto di presentare un esposto.
La sentenza, redatta dal giudice Amy Coney Barrett, rappresenta una vittoria importante per l'Amministrazione Trump e potrebbe consentirle di ridefinire, anche se solo temporaneamente, le modalità di concessione della cittadinanza negli Stati Uniti.
La decisione non affronta, nel merito, il tentativo di Trump di porre fine alla cittadinanza automatica per i bambini nati sul suolo americano da migranti irregolari e visitatori stranieri senza carta verde, ma si concentra esclusivamente sulla questione procedurale relativa all'autorità dei giudici di bloccare la proposta a livello nazionale.
La maggioranza della Corte ha infatti accolto una richiesta dell'Amministrazione Trump di restringere la portata delle ingiunzioni nazionali imposte dai giudici federali, facendo sì che si applichino solo ai gruppi e agli individui che hanno fatto causa. In sostanza, però, la decisione di oggi significa che l'ordine esecutivo firmato da Trump che pone fine alla pratica di concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati privi di documenti nati negli Stati Uniti entrerà in vigore tra 30 giorni nei 28 Stati a guida repubblicana che non hanno contestato la misura.
La posizione della maggioranza dei giudici
L'opinione di maggioranza nel caso è stata scritta dalla giudice Amy Coney Barrett, che ha concluso così:
"Alcuni affermano che l'ingiunzione universale 'dà al potere giudiziario uno strumento potente per controllare il ramo esecutivo'... Ma i tribunali federali non esercitano una supervisione generale del ramo esecutivo; risolvono casi e controversie coerentemente con l'autorità che il Congresso ha dato loro. Quando un tribunale conclude che il ramo esecutivo ha agito illegalmente, la risposta non deve essere che il tribunale ecceda anche il suo potere".
A seguito di questa decisione della Corte, l'ordine esecutivo di Trump sullo ius soli resta bloccato per ora in un unico Stato, il New Hampshire, come risultato di una causa separata che non è finita davanti alla Corte Suprema. La Corte ha anche stabilito che l'Amministrazione può continuare a lavorare su come l'ordine esecutivo debba essere implementato.
Il quadro costituzionale e la proposta di Trump
È stato a lungo ampiamente accettato, incluso da studiosi legali di entrambi i partiti, che il 14° Emendamento della Costituzione americana conferisce la cittadinanza automatica a quasi chiunque nasca negli Stati Uniti. L'emendamento stabilisce:
"Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti".
Basandosi sulla pratica storica, l'unica eccezione sono le persone che sono figli di diplomatici stranieri.
Trump vuole invece adottare un significato completamente nuovo di questo Emendamento che conferirebbe la cittadinanza solo a coloro che hanno almeno un genitore che è cittadino americano o residente permanente. L'ordine esecutivo di Trump, emesso nel suo primo giorno in carica a gennaio, è stato immediatamente contestato, e ogni tribunale che ha deciso sul merito della proposta finora l'ha bloccato.
Le fine delle ingiunzioni nazionali
L'Amministrazione Trump si è lamentata più volte del fatto che i giudici hanno emesso ingiunzioni nazionali in risposta all'uso audace e aggressivo di Trump del potere esecutivo per implementare la sua controversa agenda politica, che ha incluso l'intensificazione delle espulsioni, il ridimensionamento delle agenzie federali, il targeting di studi legali e università, e il licenziamento di migliaia di dipendenti federali.
I funzionari del Dipartimento di Giustizia affermano che ci sono state decine di decisioni in questo senso e le hanno descritte come un attacco incostituzionale all'autorità del presidente. Anche le precedenti Amministrazioni, sia repubblicane che democratiche, hanno visto le loro agende politiche minacciate da ingiunzioni nazionali, ma non si erano mai appellate per fermarle alla Corte Suprema.
Questa decisione pone fine a questo tipo di ingiunzioni federali. Tuttavia, in un parere concorde con la sentenza, il giudice Brett Kavanaugh ha osservato che ingiunzioni a livello nazionale saranno ancora ammissibili in caso di azioni legali collettive ('class actions') o se un ricorrente chiede a un giudice di annullare una norma dell'agenzia ai sensi dell'Administrative Procedures Act.
Il dissenso dei giudici liberal della Corte
I tre giudici liberali della Corte Suprema - Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson - hanno espresso un forte dissenso dalla decisione della maggioranza, considerandola un attacco pericoloso al sistema costituzionale americano. Nel suo dissenso, al quale si sono unite le altre due giudici liberali, Sotomayor ha accusato la maggioranza della Corte di permettere all'esecutivo di "giocare" con i diritti costituzionali. La giudice avverte che questa decisione crea un precedente pericoloso che svuota di significato le garanzie costituzionali per chiunque non sia formalmente parte di un processo legale.
Jackson, in un dissenso separato, va oltre ciò che afferma la collega Sotomayor e definisce la decisione di oggi della Corte come "una minaccia esistenziale allo stato di diritto", sostenendo che essa permette al ramo esecutivo di violare la Costituzione nei confronti di chiunque non abbia ancora fatto causa. Secondo Jackson, gli argomenti tecnici utilizzati dalla maggioranza sono un "paravento" per dare al presidente il via libera ad esercitare un potere arbitrario e incontrollato, ovvero proprio quello che i Padri Fondatori avevano cercato di eliminare con la Costituzione.