La Corte Suprema chiamata a decidere sui dazi globali di Trump
Dopo il no della Corte d’appello federale, la Casa Bianca prepara il ricorso entro metà ottobre. I giudici dovranno pronunciarsi sul potere del presidente di imporre unilateralmente dazi globali appellandosi all’emergenza nazionale.
La Corte Suprema degli Stati Uniti si trova di fronte a una delle sfide più delicate dell’amministrazione Trump: la legittimità dei dazi globali imposti dal presidente, una mossa che ha scosso i mercati e sollevato dubbi sulla concentrazione di potere all’interno della presidenza. La questione, che ha già diviso quindici giudici federali, undici dei quali hanno bocciato le azioni di Trump, potrebbe ora costringere i nove giudici della Corte a prendere una posizione netta su uno dei pilastri dell’agenda economica del presidente.
Da mesi, Trump ha intensificato l’uso di poteri esecutivi straordinari, dichiarando una serie di emergenze nazionali per giustificare decisioni unilaterali, tra cui l’imposizione di dazi del 10% su quasi tutti i paesi e misure aggiuntive contro Canada, Cina e Messico, motivate dalla lotta al traffico di oppiacei e agli squilibri commerciali. Questi provvedimenti, però, hanno incontrato la resistenza dei tribunali: l’ultima sentenza, emessa venerdì scorso dalla Corte d’Appello per il Circuito Federale, ha respinto i dazi e concesso alla Casa Bianca tempo fino a metà ottobre per presentare ricorso alla Corte Suprema prima che la decisione entri in vigore.
La strategia della presidenza è chiara: puntare sulla maggioranza conservatrice della Corte, che in passato ha spesso sostenuto le richieste di emergenza dell’amministrazione, anche quando i tribunali inferiori si erano espressi contro. Finora, in oltre venti casi in cui i giudici di primo grado avevano bloccato provvedimenti della Casa Bianca, la Corte Suprema ha concesso a Trump ciò che chiedeva, spesso con decisioni sommarie e senza spiegazioni dettagliate. In molti di questi casi, i tre giudici progressisti si sono opposti, ma la maggioranza ha permesso all’amministrazione di procedere per mesi, se non per anni, mentre le cause proseguivano.
Tuttavia, il caso dei dazi potrebbe rivelarsi più complesso. A differenza di altre controversie, in cui le critiche arrivavano principalmente da gruppi progressisti o stati a guida democratica, questa volta a contestare la legittimità dei dazi sono anche piccole imprese, associazioni di categoria e organizzazioni di orientamento conservatore. Questi attori hanno presentato memorie legali in cui sostengono che i dazi siano illegali, basandosi su dottrine giuridiche che la stessa Corte Suprema ha utilizzato in passato per bloccare eccessi dell’amministrazione Biden.
La decisione finale potrebbe arrivare tra mesi. Nonostante la scadenza di metà ottobre per il ricorso, la Casa Bianca non ha fretta: i dazi possono continuare a essere riscossi nel frattempo, e la Corte potrebbe non esaminare il caso prima di dicembre o gennaio, con udienze che si terrebbero in inverno o all’inizio della primavera. Una sentenza definitiva, quindi, non è attesa prima della tarda primavera o dell’estate prossima.
Al centro del dibattito c’è la cosiddetta “major questions doctrine”, un principio giuridico che la Corte Suprema ha applicato per limitare politiche presidenziali considerate troppo ampie rispetto alle intenzioni del Congresso. Questo principio è stato utilizzato per annullare piani come il Clean Power Plan dell’era Obama, che mirava a ridurre le emissioni di gas serra, o il blocco degli sfrati e le misure anti-Covid nei luoghi di lavoro volute da Biden. Secondo la Corte, queste iniziative avevano un impatto economico e politico così vasto da richiedere un’esplicita approvazione legislativa.
Nel caso dei dazi, la questione è se Trump abbia oltrepassato i limiti del potere esecutivo. La legge del 1977 che il presidente ha invocato, l’International Emergency Economic Powers Act, non menziona esplicitamente i dazi, e fino a Trump nessun presidente l’aveva utilizzata per giustificare tasse sulle importazioni. Secondo Mark Graber, professore di diritto all’Università del Maryland, la Corte potrebbe essere scettica perché non ci sono prove che il Congresso abbia inteso concedere al presidente un’autorità così ampia per affrontare problemi cronici come il traffico di droga o gli squilibri commerciali. “Quando Trump ha rivendicato poteri strettamente esecutivi, la Corte ha generalmente dato ragione alla presidenza. Ma quando il Congresso ha espresso chiaramente la sua volontà e Trump ha cercato di ignorarla, la Corte ha talvolta frenato”, ha spiegato Graber.
Non tutti sono d’accordo. Nella sentenza di venerdì, il giudice Richard Taranto, nominato da Barack Obama, ha scritto in una dissenting opinion che la legge fornisce al presidente strumenti ampi per affrontare minacce straordinarie. “Non vediamo motivi convincenti per pensare che il Congresso volesse negare al presidente l’uso dei dazi, uno strumento regolatorio comune, per contrastare le minacce coperte dalla legge”, ha affermato Taranto, offrendo così una possibile via d’uscita per la Corte Suprema.
Peter Navarro, consigliere senior della Casa Bianca per il commercio e la produzione, ha definito questa opinione una “mappa chiara” per una decisione favorevole a Trump. Intervenuto domenica su Fox News, Navarro ha sottolineato che la dissenting opinion fornisce argomenti solidi per sostenere la posizione dell’amministrazione.
La posta in gioco è alta: una vittoria di Trump consoliderebbe la sua capacità di agire unilateralmente in materia economica, mentre una sconfitta potrebbe limitare significativamente i poteri presidenziali in futuro. La Corte Suprema si trova così di fronte a un dilemma: da un lato, il desiderio di contenere l’espansione del potere esecutivo; dall’altro, la tradizione di non ostacolare le prerogative costituzionali del presidente. La decisione che prenderà avrà conseguenze non solo per l’economia americana, ma anche per l’equilibrio tra i poteri dello Stato.
Rimani sempre aggiornato seguendoci su WhatsApp