La Corte d'Appello blocca le espulsioni con l’Alien Enemies Act da parte di Trump
Una decisione della Corte d’Appello del Circuito di Washington D.C. conferma il divieto temporaneo ai rimpatri basati su una legge del XVIII secolo, sollevando interrogativi sui limiti dei poteri presidenziali e sull’uso delle norme di guerra in materia di immigrazione

La Corte d’Appello di Washington D.C. ha confermato il blocco temporaneo imposto all’utilizzo dell’Alien Enemies Act da parte dell’amministrazione Trump, che mirava a espellere in tempi rapidi cittadini venezuelani indicati come membri di gang criminali. La legge, risalente al 1798, è una norma di guerra che consente al Presidente di agire contro cittadini stranieri di Paesi ostili durante conflitti armati, ma la sua applicazione al contesto attuale è oggetto di discussioni giuridiche.
Con una decisione non unanime, i giudici d’appello hanno stabilito che gli ordini del tribunale inferiore restano in vigore mentre prosegue l’esame nel merito della questione. La giudice Patricia Millett, nella sua opinione, ha scritto che “non c’è né giurisdizione né motivo” per intervenire in questa fase. Ha inoltre sottolineato il rischio che il governo possa “vanificare unilateralmente le richieste dei querelanti espellendoli immediatamente oltre la portata dei loro avvocati o del tribunale”.
Di diverso avviso il giudice Justin Walker, che nella sua opinione dissenziente ha messo in dubbio la competenza del tribunale distrettuale di Washington D.C. a trattare il caso. Secondo Walker, il governo rischia “danni irreparabili a operazioni diplomatiche internazionali in corso e altamente sensibili e alla sicurezza nazionale”.
L’amministrazione Trump aveva impugnato un’ordinanza del giudice distrettuale James Boasberg, che vietava i rimpatri forzati di cittadini venezuelani presunti membri della gang Tren de Aragua. La Casa Bianca sosteneva che l’Alien Enemies Act giustificasse l’espulsione immediata di questi soggetti, considerati una minaccia alla sicurezza pubblica. Due voli di rimpatrio sono partiti prima che l’ordinanza scritta del giudice fosse formalmente emessa. Secondo il governo, questo dettaglio legittimerebbe le operazioni, che sarebbero quindi compatibili con il divieto imposto successivamente.
Il giudice Boasberg ha però rigettato le giustificazioni dell’amministrazione, criticando con fermezza il Dipartimento di Giustizia per l’uso frettoloso di una legge pensata per contesti bellici. Ha inoltre riaffermato l’importanza di garantire ai ricorrenti la possibilità di far valere i propri diritti dinanzi al tribunale, prima che possano essere rimpatriati.
Il caso solleva rilevanti questioni di diritto costituzionale e internazionale. Al centro del dibattito c’è il bilanciamento tra le prerogative dell’esecutivo in materia di immigrazione e la necessità di tutela giurisdizionale per le persone coinvolte. In particolare, l’interpretazione estensiva dell’Alien Enemies Act da parte dell’amministrazione Trump pone interrogativi sulla possibilità di utilizzare strumenti normativi nati in epoche di conflitto per affrontare fenomeni migratori e criminalità organizzata in tempo di pace.
La vicenda ha anche un rilievo simbolico, poiché evidenzia le tensioni tra potere presidenziale e controllo giudiziario in un ambito politicamente e socialmente sensibile come quello dell’immigrazione. Mentre il governo sostiene di agire per proteggere la sicurezza nazionale, le organizzazioni per i diritti civili e i legali dei ricorrenti mettono in guardia contro il rischio di abusi e violazioni delle garanzie fondamentali.
La battaglia legale è destinata a proseguire nei prossimi mesi e potrebbe approdare alla Corte Suprema, diventando un caso di riferimento per la definizione dei limiti dell’autorità presidenziale nel campo dell’immigrazione e dell’applicazione di leggi storiche in contesti contemporanei.