La Columbia punisce studenti per proteste pro-palestinesi
Circa 80 studenti dell’università Columbia di New York sono stati sanzionati per aver occupato una biblioteca del campus in segno di protesta contro la guerra a Gaza. Le misure disciplinari vanno dalla “probation” alle espulsioni, mentre cresce l’accusa di collusione con l’amministrazione Trump.
L’università americana Columbia ha comunicato martedì 22 luglio di aver adottato sanzioni individuali nei confronti di circa 80 studenti che, nel mese di maggio, avevano occupato la biblioteca Butler per denunciare i bombardamenti israeliani a Gaza. La decisione arriva dopo mesi di tensioni nei campus universitari statunitensi, dove le manifestazioni propalestinesi sono state bollate dall’amministrazione Trump come atti di “antisemitismo”.
Le azioni di maggio avevano già suscitato una dura reazione da parte della presidenza di Columbia, che aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. In quell’occasione, il segretario di Stato Marco Rubio aveva definito i manifestanti “teppisti pro-Hamas”. Lunedì 21 luglio, il comitato delle questioni giudiziarie dell’ateneo ha esaminato i singoli casi, considerando sia il livello di coinvolgimento degli studenti sia eventuali precedenti disciplinari.
Le sanzioni variano da periodi di “probation” a sospensioni di uno fino a tre anni, con possibilità di espulsione definitiva. In un comunicato ufficiale, l’università ha ricordato che “ogni interruzione delle attività accademiche rappresenta una violazione delle politiche interne e comporta necessariamente conseguenze disciplinari”. Columbia non ha reso noti i dettagli sui singoli studenti sanzionati, ma ha confermato l’applicazione di misure severe.
Il caso si inserisce in un contesto di pressioni crescenti da parte dell’amministrazione Trump nei confronti delle università. L’istituto newyorkese ha subito il congelamento di centinaia di milioni di dollari di fondi federali destinati alla ricerca, un segnale della volontà politica di punire quelle che vengono considerate derive “radicali” nei campus.
A fine maggio, la presidente di Columbia era stata contestata pubblicamente durante una cerimonia di laurea. Gli studenti le avevano rimproverato di aver ceduto alle pressioni governative e di non aver impedito l’arresto di Mahmoud Khalil, figura di spicco del movimento propalestinese. Khalil era stato fermato a marzo all’interno di una residenza universitaria e trasferito in un centro di detenzione federale in Louisiana. Attualmente è in libertà, ma rischia ancora l’espulsione dal paese.
Il comitato di Columbia a sostegno della campagna di boicottaggio di Israele ha definito queste sanzioni “storiche” e ha accusato la presidenza dell’ateneo di “collaborare con l’amministrazione Trump”. Secondo il gruppo, gli studenti sospesi potranno rientrare solo presentando scuse formali; in caso contrario, verranno considerati espulsi di fatto.
Negli ultimi anni, il campus di Columbia è stato uno degli epicentri della mobilitazione propalestinese negli Stati Uniti. Già un anno fa, la polizia di New York era intervenuta per sgomberare un gruppo di manifestanti che aveva occupato un edificio universitario chiedendo alle università di interrompere i rapporti con aziende collegate a Israele. L’occupazione della biblioteca Butler si inserisce in questa lunga serie di proteste che hanno attirato l’attenzione dei media e delle autorità.
Il conflitto tra la direzione dell’università e una parte del corpo studentesco riflette una frattura più ampia che attraversa il sistema accademico statunitense. Le accuse di antisemitismo e le pressioni governative hanno portato molte università a rivedere le proprie politiche interne, spesso con decisioni contestate da movimenti studenteschi e gruppi per i diritti civili. Columbia, uno degli atenei più prestigiosi degli Stati Uniti, si trova oggi al centro di un dibattito nazionale su libertà di espressione, attivismo politico e rapporti con il potere federale.
Le misure annunciate il 22 luglio segnano un ulteriore irrigidimento della posizione dell’ateneo. Pur senza rendere pubblici i nomi degli studenti colpiti, la direzione ha ribadito che “qualsiasi comportamento che comprometta le attività accademiche fondamentali non sarà tollerato”. Il messaggio, interpretato da molti come un avvertimento rivolto all’intero movimento studentesco, conferma la volontà di mantenere il controllo del campus di fronte a nuove manifestazioni.