La Casa Bianca lancia la repressione contro la "sinistra radicale"
La Casa Bianca accusa fondazioni, media e attivisti di fomentare violenza politica. Intanto online parte una campagna di doxxing contro chi ha criticato l’influencer conservatore, con conseguenze professionali per molti.

L’assassinio di Charlie Kirk, influente attivista conservatore e fondatore di Turning Point USA, ha scatenato una reazione politica senza precedenti da parte dell’amministrazione Trump. In meno di una settimana, la morte di Kirk — ucciso il 10 settembre da un giovane di 22 anni le cui motivazioni restano ancora poco chiare — è stata trasformata in un casus belli contro quella che il presidente e il suo entourage definiscono la "sinistra radicale" americana. Una campagna che, secondo gli osservatori, ricorda le derive del maccartismo degli anni Cinquanta e che sta già avendo conseguenze concrete: licenziamenti, denunce, minacce e una caccia alle streghe generalizata.
Lunedì 15 settembre, il vicepresidente J. D. Vance ha simbolicamente occupato lo studio da cui Kirk conduceva il suo podcast, trasformando l’omaggio in un attacco frontale. Davanti alle telecamere, Vance ha accusato senza mezzi termini la Open Society Foundation di George Soros e la Ford Foundation di finanziare «un ecosistema di odio» che avrebbe alimentato la violenza politica. Le due fondazioni, secondo Vance, avrebbero sostenuto economicamente il mensile di sinistra The Nation, colpevole di aver pubblicato un articolo critico verso Kirk. Peccato che The Nation abbia smentito qualsiasi finanziamento da parte di Soros o della Ford Foundation. «Queste organizzazioni stanno dando fuoco alla casa costruita dalla famiglia americana in 250 anni», ha tuonato Vance, citando la Bibbia e invocando una «montagna di verità» che solo una repressione massiccia potrà scalare.
Il vicepresidente si è basato su un sondaggio YouGov secondo cui il 16% dei liberali americani ritiene «spesso o sempre accettabile» provare gioia per la morte di un avversario politico, percentuale che sale al 24% tra i «molto liberali». Un dato che, però, lo stesso istituto di ricerca contesta: dal 2022, ogni atto di violenza politica scatena reazioni opposte e speculari tra destra e sinistra, soprattutto tra i giovani. Insomma, non si tratta di un fenomeno esclusivo della sinistra, ma di una polarizzazione estrema che attraversa tutta la società. Nonostante ciò, Vance ha insistito: «I dati sono chiari: la sinistra è molto più incline a giustificare la violenza».
Donald Trump, dal canto suo, ha annunciato di voler applicare la legge RICO — normalmente usata contro il crimine organizzato — a chi «finanzia l’agitazione». Ha anche espresso sostegno al 100% alla proposta di dichiarare i gruppi antifa — una galassia di collettivi senza una struttura unitaria — come «organizzazione terroristica». Una mossa che, se attuata, avrebbe conseguenze legali gravissime per migliaia di persone. Al suo fianco, Stephen Miller, consigliere della Casa Bianca e architetto delle politiche più dure sull’immigrazione, ha parlato di un «movimento terroristico interno» che includerebbe non solo gli attivisti violenti, ma anche insegnanti, infermieri e impiegati federali che hanno osato esprimere soddisfazione online per la morte di Kirk. «È un vasto ecosistema di endottrinamento», ha affermato Miller, senza fare distinzioni tra una battuta di cattivo gusto e un’incitazione all’odio.
La retorica dell’amministrazione ha trovato immediata applicazione. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha ordinato il monitoraggio dei messaggi online dei militari per punire chi critica Kirk. Il segretario ai Trasporti, Sean Duffy, ha annunciato la sospensione di un pilota di American Airlines che, in un post privato su Facebook, aveva attaccato Kirk. Intanto, un sito dal nome Charlie Kirk Data Foundation — ospitato da Epik, una piattaforma nota per dare spazio all’estrema destra — ha iniziato a raccogliere e pubblicare i dati personali di decine di migliaia di utenti che, in qualche modo, si sono espressi contro Kirk. Il sito, inizialmente chiamato Charlie Kirk Murder, ha cambiato nome dopo le proteste, ma continua a minacciare di esporre chiunque abbia «celebrato» l’assassinio. Secondo i suoi gestori, sarebbero già state identificate oltre 50.000 persone.
Le conseguenze non si sono fatte attendere. Laura Sosh-Lightsy, dipendente dell’Università del Tennessee, è stata licenziata il giorno stesso in cui aveva scritto su Facebook: «La violenza genera violenza. Zero simpatia». Stesse sorti per un pompiere, un militare e diversi professori universitari, alcuni dei quali hanno ricevuto minacce di morte. Anche la deputata democratica Ilhan Omar, che in un’intervista aveva definito la retorica di Kirk come piena di «stronzate» e criticato l’ipocrisia di chi ora ne fa un martire, è finita nel mirino: due deputati repubblicani hanno presentato risoluzioni per rimuoverla dalle commissioni parlamentari. Omar, che aveva condannato senza riserve l’omicidio, ha risposto attraverso un portavoce: «È significativo che chi si dice paladino della libertà di parola sia il primo a volerla sopprimere».
La campagna di repressione non si limita ai licenziamenti. L’amministrazione sta spingendo per una campagna di delazione collettiva: i sostenitori di Trump sono incoraggiati a segnalare alle autorità o ai datori di lavoro qualsiasi commento ostile verso Kirk, anche se pronunciato in contesti privati. Un meccanismo che ricorda le peggiori pagine della storia americana, quando il sospetto bastava a rovinare carriere e vite. Alcuni repubblicani, come il governatore dello Utah Spencer Cox e il senatore James Lankford, hanno provato a mettere in guardia: «Charlie Kirk ha detto cose molto infiammatorie», ha ammesso Cox, sottolineando che la libertà di espressione dovrebbe valere per tutti, non solo per chi la pensa come il presidente. Ma le loro voci sono state sommerse dal coro dei sostenitori di Trump, che su X e sui media conservatori chiedono a gran voce «giustizia» per Kirk.