Ketanji Brown Jackson, la voce più critica della Corte Suprema contro Trump

La giudice si è distinta per una serie di dissensi duri contro la maggioranza conservatrice, denunciando rischi per la democrazia e lo stato di diritto negli Stati Uniti

Ketanji Brown Jackson, la voce più critica della Corte Suprema contro Trump
White House

Negli ultimi mesi, la giudice Ketanji Brown Jackson si è affermata come la più esplicita critica interna alla Corte Suprema degli Stati Uniti. In un contesto segnato dall'espansione dei poteri presidenziali e da decisioni favorevoli al presidente Trump, Jackson ha scelto di non restare in silenzio, lanciando ripetuti allarmi sulla tenuta della democrazia e sul rispetto dello stato di diritto.

Durante un intervento il 10 luglio 2025, in occasione di un evento dell'Indianapolis Bar Association, Jackson ha dichiarato che la situazione della democrazia americana la tiene sveglia la notte. “Voglio davvero che la gente si concentri, investa e presti attenzione a ciò che sta accadendo nel nostro Paese e nel nostro governo”, ha detto, senza entrare nei dettagli delle sentenze.

Nominata alla Corte dal presidente Joe Biden, Jackson ha appena concluso il suo terzo anno come giudice e si è già distinta per una rapidità nell’assumere un ruolo attivo e polemico, che pochi suoi predecessori hanno mostrato con la stessa tempestività. Secondo uno studio di Lee Epstein, Andrew D. Martin e Michael J. Nelson, ha emesso pareri concorrenti a un ritmo più alto di qualsiasi altro membro della Corte dal 1937. Inoltre, ha redatto tre dissensi solitari già nel suo primo anno, mentre il presidente della Corte John Roberts ha impiegato sedici anni per firmarne uno.

I suoi interventi più recenti hanno riguardato alcune delle decisioni più significative della Corte nel 2025. Tra queste, la sentenza sul diritto di cittadinanza per nascita, in cui la maggioranza ha limitato fortemente il potere dei tribunali distrettuali di bloccare ordini presidenziali, anche se palesemente incostituzionali. In quella occasione, la giudice Sonia Sotomayor ha firmato il dissenso principale per l’ala liberale della Corte, mentre Jackson ha aggiunto un proprio dissenso, indipendente e più radicale. Ha parlato di “zona di illegalità” nella quale il presidente avrebbe la possibilità di ignorare la legge a suo piacimento.

Le sue critiche hanno provocato una risposta insolitamente diretta da parte della giudice Amy Coney Barrett, che ha firmato la sentenza di maggioranza insieme agli altri cinque membri conservatori. Barrett ha liquidato le argomentazioni di Jackson definendole “in contrasto con più di due secoli di precedenti, per non parlare della Costituzione stessa” e “non ancorate a nessuna dottrina giuridica riconoscibile”. Un linguaggio che alcuni analisti hanno definito condiscendente, e che secondo la professoressa Melissa Murray della New York University potrebbe essere interpretato come un tentativo di zittire una voce critica.

Le divergenze di Jackson non si sono limitate a questo caso. In una decisione di giugno, la Corte ha autorizzato il Department of Government Efficiency diretto da Elon Musk ad accedere a dati sensibili della Social Security Administration. Jackson ha definito questa concessione un trattamento di favore per l’amministrazione Trump, affermando che una simile richiesta, se presentata da altri, sarebbe stata considerata straordinaria. In un’altra sentenza di maggio, che ha permesso al governo di eliminare la protezione umanitaria per oltre 500.000 migranti, ha accusato la Corte di aver “ignorato le vincolanti limitazioni legali, scatenando devastazione”.

Jackson ha criticato anche il crescente ricorso della Corte a procedure d'urgenza con iter abbreviati, che secondo lei minano la trasparenza e la legittimità del lavoro giudiziario. In aprile, dissentendo da una decisione su un caso di espulsione verso El Salvador, ha scritto che questo approccio “è non solo fuorviante, ma anche pericoloso”.

Al di fuori della Corte, Jackson ha mantenuto uno stile comunicativo diretto ma informale. In un evento a New Orleans a inizio luglio, ha definito alcune decisioni della maggioranza conservatrice come “una minaccia esistenziale allo stato di diritto”. Durante la conversazione con la giudice Jane Magnus-Stinson a Indianapolis, ha parlato anche del proprio percorso personale, delle tradizioni formali della Corte e del fatto che, contrariamente a quanto immaginava, anche nei colloqui interni i giudici mantengono un tono estremamente formale.

Ha spiegato che decide di scrivere un dissenso quando ritiene di avere “qualcosa da aggiungere” e ha affermato di non temere il confronto. Magnus-Stinson ha notato che, in alcune occasioni, Jackson ha condiviso posizioni con il giudice conservatore Neil Gorsuch, sottolineando che l’allineamento tra colleghi può variare in base alla natura dei casi. Alla battuta secondo cui la composizione della Corte la vede “talvolta in minoranza”, Jackson ha risposto ridendo: “Talvolta?”

La giudice, 54 anni, è laureata ad Harvard e ha lavorato come assistente legale del giudice Stephen Breyer, che ha poi sostituito alla Corte Suprema. Prima di essere nominata alla Court of Appeals for the District of Columbia Circuit da Biden, aveva trascorso otto anni come giudice di primo grado a Washington. In quel ruolo aveva bloccato alcune iniziative dell’amministrazione Trump, come i rimpatri accelerati e i tagli ai fondi per la prevenzione delle gravidanze adolescenziali.

Jackson, insieme alla giudice Sotomayor, è tra gli unici membri della Corte ad aver lavorato come giudice di primo grado. Questa esperienza ha influenzato le sue critiche alla tendenza della Corte a ridurre l’autonomia dei tribunali inferiori. Ha parlato di “trattamento sprezzante dei doveri solenni dei giudici di grado inferiore”, e in un altro dissenso su un caso di corruzione pubblica ha evocato la perdita di fiducia nelle istituzioni causata dall’arricchimento personale di funzionari pubblici – un possibile riferimento implicito alle controversie riguardanti i viaggi e i benefici non dichiarati da parte di alcuni colleghi, come Clarence Thomas e Samuel Alito.

Focus America non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.