Jimmy Kimmel sospeso da ABC dopo commenti su Charlie Kirk
Il conduttore televisivo ha accusato la destra americana di sfruttare politicamente la morte dell’influencer vicino a Trump. La rete lo ha sospeso a tempo indeterminato, mentre si accende il dibattito sulla libertà di espressione.

ABC ha annunciato la sospensione a tempo indeterminato di Jimmy Kimmel Live!, il late show condotto da Jimmy Kimmel, uno dei volti più noti della televisione americana. La decisione arriva dopo i commenti del conduttore sull’assassinio di Charlie Kirk, influente attivista conservatore vicino al presidente Donald Trump. Kimmel aveva accusato la destra americana di voler trasformare la tragedia in un vantaggio politico.
Un portavoce della rete ha confermato mercoledì 17 settembre che il programma sarà tolto dal palinsesto. La reazione di Trump è stata immediata: il presidente ha definito la sospensione «un’ottima notizia per l’America» sul suo social Truth Social, aggiungendo che Kimmel «non ha alcun talento» e invitando altre reti, come NBC, a colpire anche altri conduttori critici nei suoi confronti, tra cui Jimmy Fallon e Seth Meyers.
Nell’episodio andato in onda lunedì, Kimmel aveva ironizzato sulla gestione politica del caso Kirk. L’influencer pro-Trump era stato ucciso pochi giorni prima da un giovane di 22 anni, Tyler Robinson. La destra ha rapidamente dipinto l’assassino come un militante di estrema sinistra, sebbene non siano emersi legami concreti con movimenti organizzati. Contestando questa narrazione, Kimmel ha dichiarato che la “gang MAGA” cercava di presentare Robinson come un nemico esterno per capitalizzare politicamente la vicenda.
Il conduttore aveva inoltre sottolineato le contraddizioni della Casa Bianca. Nel suo monologo, ha ricordato come, mentre venivano issate le bandiere a mezz’asta in segno di lutto, Trump mostrava ai giornalisti i lavori di ristrutturazione della residenza presidenziale.
La sospensione di Kimmel ha scatenato reazioni contrastanti. Brendan Carr, presidente della Federal Communications Commission (FCC), ha definito «scandaloso» il comportamento del conduttore e ha ringraziato il gruppo Nexstar, proprietario di numerose affiliate di ABC, per avere interrotto la diffusione del programma. Andrew Alford, dirigente del gruppo, ha parlato di commenti «offensivi e indelicati in un momento critico del dibattito politico nazionale», sostenendo che continuare a garantire una piattaforma a Kimmel non sarebbe stato «nell’interesse pubblico».
Dall’altra parte, esponenti di Hollywood e del mondo politico hanno denunciato un attacco alla libertà di espressione. L’attore Ben Stiller ha scritto sui social «Non è giusto», mentre il governatore della California, Gavin Newsom, ha accusato i repubblicani di «non credere nella libertà di parola», parlando di una strategia più ampia: «Comprare e controllare le piattaforme mediatiche. Licenziare i commentatori. Cancellare i programmi. È tutto coordinato ed è pericoloso».
Il caso Kimmel si inserisce in un contesto più ampio di tensioni tra Trump e i media. Pochi giorni prima, CBS aveva annunciato la futura cancellazione del Late Show di Stephen Colbert, altro conduttore noto per la sua satira contro il presidente. La decisione, presentata come motivata da ragioni economiche, era arrivata subito dopo che la rete aveva chiuso con un accordo da 16 milioni di dollari una controversia con Trump, che l’accusava di un montaggio “fuorviante”. Colbert aveva definito il pagamento «una grossa tangente».
Allo stesso tempo, Trump ha moltiplicato le azioni legali contro la stampa. Martedì 16 settembre ha annunciato una causa per diffamazione da 15 miliardi di dollari contro il New York Times, dopo aver già preso di mira il Wall Street Journal in estate. Sebbene molte delle sue cause passate siano state respinte, osservatori notano che in questo secondo mandato l’amministrazione e il Dipartimento di giustizia mostrano una fedeltà totale al presidente.
Gli esperti di diritto dei media considerano le accuse giuridicamente fragili. Tuttavia, per le grandi reti televisive, che dipendono dalle autorizzazioni federali e da complesse operazioni societarie, le pressioni politiche appaiono più difficili da respingere. Così, mentre i grandi quotidiani resistono in tribunale, le emittenti tendono a cedere.