Israele fissa un ultimatum per Gaza entro la visita di Trump in Medio Oriente
Il governo israeliano ha approvato un piano per rioccupare completamente la Striscia di Gaza se non si raggiungerà un accordo sugli ostaggi entro il 15 maggio. L'operazione prevede lo sfollamento dei palestinesi in un'unica "area umanitaria".
Israele ha stabilito un ultimatum al 15 maggio per raggiungere un accordo sugli ostaggi e sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, legando la scadenza alla visita del presidente Trump in Medio Oriente prevista per la prossima settimana. In assenza di un’intesa, il governo israeliano procederà con una massiccia operazione militare denominata “Gideon’s chariots”, che prevede la rioccupazione completa e indefinita di Gaza.
Il piano israeliano
Secondo fonti israeliane, il Gabinetto di Sicurezza ha dato il via libera al piano nella serata di domenica. L’operazione prevede l’invio di quattro o cinque divisioni corazzate e di fanteria delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), incaricate di demolire tutti gli edifici ancora in piedi e sfollare i circa 2 milioni di abitanti palestinesi verso Rafah, dove sarà creata un’unica “area umanitaria”.
Questa zona sarà gestita, nelle intenzioni israeliane, da una nuova fondazione internazionale e società private statunitensi. Tuttavia, l’ONU e le principali organizzazioni umanitarie hanno già dichiarato che non parteciperanno alla gestione dell’area.
Il Ministro delle Finanze ultranazionalista Betzalel Smotrich ha affermato che l’occupazione prevista sarà permanente e che l’IDF non si ritirerà nemmeno in cambio del rilascio degli ostaggi. In alternativa alla permanenza nell’area umanitaria, i palestinesi avrebbero la possibilità di lasciare volontariamente Gaza per altri paesi, in linea con quella che un funzionario israeliano ha definito “la visione del presidente Trump per Gaza”.
Tuttavia, ad oggi nessun Paese ha accettato di accogliere i palestinesi sfollati e molti dubbi sono sorti sulla reale volontarietà di tali partenze in un contesto come quello descritto.
La situazione attuale ed il viaggio di Trump
Le operazioni militari israeliane nella Striscia, iniziate dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, hanno finora causato la morte di 52.000 palestinesi, prevalentemente civili, secondo il Ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas.
Il primo ministro Netanyahu ha finora respinto ogni proposta che preveda la completa cessazione del conflitto, puntando piuttosto ad una serie di accordi temporaneo con Hamas.
La decisione israeliana arriva in concomitanza con l’imminente visita del presidente Trump in Medio Oriente. Trump visiterà Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti a partire da lunedì, ma Israele non è attualmente tra le tappe previste dal viaggio.
Fonti statunitensi citate da Axios hanno sottolineato che “nulla di buono può venire da una visita in Israele al momento”, evidenziando come Gaza non sia una priorità del presidente americano, che concentrerà piuttosto la sua attenzione su questioni bilaterali e investimenti regionali.
Secondo fonti israeliane, Trump non sta però svolgendo alcun ruolo attivo nella mediazione per un cessate il fuoco e avrebbe lasciato carta bianca al governo Netanyahu.
Tuttavia, lunedì Trump ha espresso preoccupazione per la situazione umanitaria nella Striscia, dichiarando ai giornalisti che intende intervenire per garantire aiuti alimentari alla popolazione civile, accusando Hamas di appropriarsi indebitamente degli aiuti destinati ai palestinesi.
I dubbi israeliani
La pianificazione della nuova operazione militare ha sollevato numerose polemiche all’interno di Israele. Secondo recenti sondaggi, il 60-70% degli israeliani è, infatti, contrario alla rioccupazione permanente di Gaza e preferirebbe invece raggiungere un accordo per terminare le ostilità e favorire il rilascio degli ostaggi.
Un ulteriore problema è rappresentato dalla mobilitazione di circa 70.000 riservisti dell’IDF, molti dei quali hanno già servito per oltre 300 giorni consecutivi dalla crisi iniziata il 7 ottobre. L’esercito teme che dal 30% al 50% di essi possa decidere di non presentarsi al richiamo.
In questo contesto, funzionari israeliani hanno ribadito che i preparativi militari offrono una finestra limitata di opportunità per raggiungere un’intesa diplomatica entro la conclusione della visita di Trump nella regione. Se tale accordo non sarà raggiunto, però, l’operazione “Gideon’s chariots” avrà inevitabilmente luogo con tutte le conseguenze del caso, fanno sapere da Tel Aviv.