Il piano di Trump per trasformare Guantanamo in un campo per migranti mette in difficoltà il Pentagono

Il Pentagono si prepara a trasformare la storica base militare di Cuba in un mega-centro di detenzione per migranti irregolari, tra tensioni legali, ostacoli logistici e costi milionari.

Il piano di Trump per trasformare Guantanamo in un campo per migranti mette in difficoltà il Pentagono
L'ingresso della base militare americana di Guantanamo

L’annuncio del presidente Donald Trump di voler trasferire decine di migliaia di migranti nella base militare americana di Guantanamo Bay ha preso in contropiede l’intero Dipartimento della Difesa.

L’ordine esecutivo, che menziona non meglio specificati “criminali di alto profilo”, prevede l’arrivo di fino a 30.000 persone, un numero ben superiore rispetto alle poche centinaia di sospettati di terrorismo detenuti al picco della “guerra al terrorismo”.

Il Pentagono, colto di sorpresa, si trova ora a dover pianificare in tempi rapidi una soluzione adeguata, con risorse tutte da reperire e strutture da allestire. Tuttavia, il nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth, ha fatto sapere di essere già al lavoro su un piano “in divenire” per fornire le strutture necessarie.

Tende, clima tropicale e assistenza sanitaria

Le voci che si rincorrono parlano di alloggiare i migranti in grandi tendopoli, richiamando per certi versi le operazioni degli anni ’90, quando l'allora presidente Bill Clinton ordinò di ospitare a Guantanamo rifugiati haitiani e cubani.

Allora, però, c’era un termine temporale definito, mentre oggi la nuova missione potrebbe protrarsi a tempo indeterminato.

Il contesto presenta ovviamente diverse criticità: dai costi crescenti per il trasporto di cibo, acqua potabile e medicinali, all’impiego di personale militare e civile per garantire sicurezza, assistenza medica e perfino servizi educativi.

Gli esperti stimano che il conto complessivo possa salire a decine o addirittura centinaia di milioni di dollari, considerando anche la necessità di spostare in loco guardie, medici, insegnanti, avvocati e addetti alla manutenzione.

Lo scarso coordinamento e le reazioni

Secondo fonti del Pentagono, i reparti militari non hanno avuto modo di prepararsi adeguatamente prima dell’annuncio: si è così creato un vuoto di informazioni su dettagli logistici, tempistiche e metodi di trasferimento dei migranti nella base militare di Cuba.

Nonostante l’Amministrazione abbia chiarito che sarà l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) a gestire l’operazione, il ruolo delle Forze Armate resta rilevante, specie per il trasporto dei detenuti e la sicurezza del sito che ospita anche una base militare.

Nel frattempo, le principali organizzazioni per i diritti umani e diversi avvocati per l’immigrazione hanno espresso dure critiche, denunciando il rischio di isolamento dei migranti dalla possibilità di assistenza legale.

Le difficoltà di accesso a Guantanamo, un luogo noto per i precedenti casi di detenzione a lungo termine, sollevano questioni di trasparenza e di rispetto dei diritti fondamentali.

Il nodo giuridico e le incognite politiche

La base navale di Guantanamo, pur essendo sotto controllo statunitense, si trova formalmente in territorio cubano dal 1903.

Questo crea potenziali ostacoli legali, soprattutto se l’Amministrazione Trump intenderà deportarvi persone che, per svariate ragioni, non possono essere rimpatriate nel proprio Paese di origine.

A complicare il quadro c’è anche la questione dei migranti che, essendo già negli Stati Uniti in attesa di un’udienza di immigrazione, verrebbero di fatto allontanati dal Paese senza chiare basi legali per la detenzione al di fuori del territorio americano.

Nonostante le critiche e le probabili cause legali in arrivo, Trump ha ribadito però che l’operazione andrà avanti e ha perfino ventilato la possibilità di aumentare la capacità del futuro campo di detenzione oltre i 30.000 migranti da ospitare inizialmente.

Ma le incognite restano numerose: dai tempi richiesti per erigere un vero e proprio campo di detenzione così grande in una base militare isolata, fino all’effettiva disponibilità di uomini e risorse in un momento in cui le Forze Armate americane vorrebbero concentrarsi su compiti più convenzionali.

E se per alcuni questo piano rappresenta la soluzione immediata a una crisi migratoria che si protrae da tempo, per altri è solo l’ennesima dimostrazione di una linea dura destinata ad alzare barriere, alimentare tensioni e sollevare nuovi interrogativi sul futuro dell’immigrazione negli Stati Uniti.

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