Il nuovo ordine mondiale che minaccia di espandere il club nucleare

I conflitti in Ucraina e Iran ed i dubbi sulla affidabilità dell'ombrello nucleare degli Stati Uniti spingono sempre più Paesi alleati verso il nucleare. Corea del Sud, Giappone, Polonia e altri valutano la via dell'arma atomica come deterrente da possibili aggressioni.

Il nuovo ordine mondiale che minaccia di espandere il club nucleare

Negli anni Novanta, gli Stati Uniti si erano posti due priorità cruciali riguardo alle armi nucleari: garantire che l'Ucraina cedesse il suo vasto arsenale nucleare alla Russia ed impedire alla Corea del Nord di acquisire le proprie testate. Il primo obiettivo fu raggiunto con successo, ma oggi molti analisti ritengono che quel disarmo abbia reso l’Ucraina più vulnerabile all’aggressione russa. Al contrario, il tentativo di fermare Pyongyang fallì: la Corea del Nord riuscì ad armarsi, diventando un attore nucleare capace di sfidare apertamente la sicurezza globale.

Questi esempi, amplificati dalla guerra in corso tra Israele e Iran, stanno inducendo diversi Paesi alleati degli Stati Uniti a considerare la necessità di sviluppare autonomamente armi nucleari, afferma una analisi di Yaroslav Trofimov pubblicata sul Wall Street Journal. Una crescente sfiducia verso la capacità di Washington di garantire la protezione militare contro possibili aggressioni ha infatti avviato un dibattito sulla efficacia dell'ombrello nucleare USA tra alleati storici come Corea del Sud, Giappone, Polonia, Germania e Turchia.

La seconda presidenza Trump ha ulteriormente alimentato queste preoccupazioni, mettendo in dubbio il valore della NATO, interrompendo temporaneamente gli aiuti militari all’Ucraina ed ipotizzando un ritiro delle truppe americane dalla Corea del Sud. In questo scenario, la Corea del Nord ha rafforzato la sua posizione entrando apertamente in alleanza con la Russia, addirittura inviando truppe a combattere in Europa senza temere reazioni militari, forte proprio della sua capacità di deterrenza nucleare.

Kurt Volker, ex Ambasciatore statunitense presso la NATO, ha sottolineato il pericolo di questa dinamica:

"Se molti Paesi ora penseranno che le armi nucleari sono il biglietto per la sovranità, il mondo in cui vivremo tra 20 anni sarà un mondo con molti Stati dotati di armi nucleari".

Secondo il Trattato di Non Proliferazione (TNP) del 1968, le potenze nucleari ufficiali sono solo cinque: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito, tutte con seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU. A queste si sono aggiunte India e Pakistan nel 1998, Corea del Nord nel 2006 ed Israele, che non è mai stato ufficialmente riconosciuto come potenza nucleare ma che si stima possieda almeno 90 testate nucleari.

Ucraina e Corea del Nord: due esempi opposti

La differenza tra la vulnerabilità dell'Ucraina, disarmata volontariamente sotto pressioni internazionali, e la sostanziale immunità della Corea del Nord è evidente, secondo l'analisi di Trofimov. Al momento della sua dichiarazione di indipendenza, nel 1991, l’Ucraina controllava circa 1.800 testate nucleari strategiche, pari al terzo arsenale nucleare al mondo. Sotto la forte pressione americana ed in grave crisi economica, Kyiv accettò nel 1994 di trasferire le testate alla Russia, in cambio di "assicurazioni di sicurezza" da parte di USA, Russia e Regno Unito. Tali assicurazioni, formalizzate nel cosiddetto Memorandum di Budapest del 1994, come emerso drammaticamente dopo l'inizio dell'invasione russa su larga scala del 2022, si sono rivelate insufficienti.

L'ex presidente americano Bill Clinton ha espresso il proprio rammarico, dichiarando di sentirsi "terribile" per aver costretto Kyiv a rinunciare all’arsenale nucleare. La Ministra della Difesa lituana Dovilė Šakalienė ha sottolineato la portata simbolica di questo fallimento:

"Il messaggio che questo invia ad altri Paesi è: se avete armi, non abbandonatele. Come vedete, i Paesi che hanno un'arma nucleare non vengono aggrediti ferocemente".

Il caso dell’Iran e la posizione della Turchia

L’Iran ha speso circa mille miliardi di dollari per sviluppare un programma nucleare, ufficialmente civile, che tuttavia non ha impedito l’attacco israeliano. Karim Sadjadpour del Carnegie Endowment evidenzia però il rischio che il regime iraniano concluda in futuro che la sua unica debolezza sia stata proprio quella di non aver perseguito abbastanza rapidamente una reale capacità atomica militare.

Nel frattempo, nella vicina Turchia, un Paese membro della NATO, politici nazionalisti e commentatori pubblici hanno già iniziato a discutere apertamente la possibilità di sviluppare armi nucleari come deterrente nei confronti di Israele. L’ex Ambasciatore francese ad Ankara Gérard Araud sostiene che, nella prospettiva turca, sviluppare una propria arma nucleare potrebbe diventare un’opzione credibile in una regione in cui è presente un’aggressiva potenza nucleare.

La crisi del sistema di non proliferazione

Secondo l’ex Ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin, il sistema internazionale di non proliferazione nucleare, incarnato dal TNP, "non è morto, ma è ora in profonda crisi". La fiducia nel Trattato, già precaria in precedenza, sembra destinata a deteriorarsi ulteriormente se sempre più nazioni percepiranno che rinunciare alle armi nucleari equivalga a una pericolosa esposizione ad aggressioni militari.

Secondo esperti del settore, ottenere capacità nucleari militari è ormai tecnicamente alla portata di qualsiasi nazione industrializzata che sia davvero determinata a farlo. L'unica vera questione è il costo: la realizzazione di un programma di armi nucleari potrebbe richiedere dai 2 ai 5 anni ed investimenti minimi di diversi miliardi di dollari, senza considerare i costi elevati di potenziali sanzioni internazionali.

Il dilemma sudcoreano

La Corea del Sud appare al momento tra i Paesi più inclini a procedere verso l’opzione nucleare, soprattutto perché i missili nordcoreani sono ormai in grado di colpire direttamente il territorio statunitense, rendendo più rischioso per Washington difendere Seoul in caso di conflitto. Questo scenario ripropone il dilemma che negli anni Sessanta spinse la Francia di Charles De Gaulle a dotarsi di armi atomiche autonome.

Oggi, una larga maggioranza dei sudcoreani dubita dell’affidabilità delle promesse americane di protezione, con tre quarti della popolazione che si dice favorevole allo sviluppo di un arsenale nucleare nazionale. "Trump certamente non correrà rischi nucleari per difendere i propri alleati", sostiene Robert E. Kelly della Pusan National University. Tuttavia, aggiunge Kelly,

"Nessuno crede che la Corea del Sud lancerà un'arma nucleare dal nulla. È solo l'arroganza americana che ci convince che siamo gli unici abbastanza responsabili per gestire queste armi".
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