Il New York Times denuncia l'uso politico della giustizia
L'editoriale del prestigioso quotidiano critica duramente Trump per aver trasformato il sistema giudiziario in uno strumento di vendetta personale

Il New York Times ha pubblicato un duro editoriale contro il presidente Donald Trump, accusandolo di aver trasformato il sistema giudiziario federale americano in uno strumento di vendetta personale. L'occasione è l'incriminazione dell'ex direttore dell'FBI James Comey, avvenuta giovedì scorso in Virginia con accuse che il giornale definisce "altamente dubbie".
Va precisato che negli Stati Uniti, a differenza dell'Italia, i principali quotidiani pubblicano regolarmente editoriali non firmati che rappresentano la posizione ufficiale della testata. Questi articoli, scritti collettivamente dal comitato editoriale del giornale (un gruppo di giornalisti d'opinione separato dalla redazione che si occupa delle notizie), esprimono il punto di vista dell'intera testata su questioni di rilevanza nazionale. Si tratta di una tradizione consolidata nel giornalismo americano, particolarmente influente quando proviene da testate come il New York Times.
Secondo l'editoriale, Trump ha forzato le dimissioni del procuratore federale Erik Siebert dopo che questi si era rifiutato di incriminare Comey. Al suo posto, il presidente ha nominato Lindsey Halligan, sua ex avvocata personale senza esperienza come procuratore. La Halligan ha ottenuto l'incriminazione di Comey solo quattro giorni dopo il suo insediamento e pochi giorni prima della scadenza dei termini di prescrizione.
Il giornale sottolinea come lo staff di Siebert avesse indagato per mesi sul caso, concludendo che non c'erano basi per un'incriminazione. Trump aveva risposto con un post sui social media definendo Comey "colpevole come l'inferno" e promettendo che la Halligan avrebbe portato avanti il processo che il suo predecessore "woke" (termine che indica chi è attento alle ingiustizie sociali) si era rifiutato di perseguire.
L'incriminazione, che il Times descrive come "sorprendentemente breve e debole", accusa Comey di aver fatto una falsa dichiarazione al Comitato Giudiziario del Senato nel 2020 e di aver ostruito un procedimento del Congresso nella stessa testimonianza. In un fatto inusuale, il gran giurì ha respinto una terza accusa che la Halligan aveva cercato di ottenere. Il giornale nota che i gran giurì di solito approvano le incriminazioni richieste dai procuratori federali.
L'editoriale colloca questa azione in un contesto più ampio di quello che definisce un attacco sistematico all'indipendenza della giustizia. Trump, ricorda il giornale, si era candidato promettendo di perseguire i suoi nemici e ha nominato fedelissimi che hanno ordinato indagini contro persone invise al presidente. Il Times cita altri bersagli sulla lista dei nemici di Trump: Letitia James, procuratore generale di New York che ha ottenuto una condanna contro la Trump Organization per frode finanziaria; il senatore della California Adam Schiff, che ha guidato il primo impeachment di Trump alla Camera dei Deputati; Lisa Cook, membro del consiglio della Federal Reserve; l'ex direttore della CIA John Brennan; e le Open Society Foundations di George Soros.
Il giornale respinge con forza l'argomento degli alleati di Trump secondo cui queste azioni non sarebbero peggiori dell'incriminazione di Trump da parte del Dipartimento di Giustizia di Biden per i fatti del 6 gennaio 2021 e la sottrazione di documenti sensibili dalla Casa Bianca. "Questa nozione si basa su una falsa equivalenza", scrive l'editoriale. "Nei casi precedenti, non c'è dubbio che le leggi siano state violate e ci sono prove significative che Trump ne facesse parte. Non esistono prove simili sui suoi attuali bersagli".
L'editoriale traccia un parallelo storico con i fondatori americani, che nella Dichiarazione d'Indipendenza criticarono il re britannico per aver perseguito gli americani per "reati inventati". Il giornale ricorda come, dopo lo scandalo Watergate, si fosse creata una cultura di indipendenza nel Dipartimento di Giustizia che aveva resistito per mezzo secolo, con procuratori di entrambi i partiti che costruirono una reputazione di equità.
Il Times cita l'esempio di Alberto Gonzales, procuratore generale sotto George W. Bush, costretto alle dimissioni dopo aver licenziato nove procuratori federali per ragioni politiche. "I suoi peccati non si sono mai avvicinati a quelli di Trump", nota l'editoriale, "ma il principio era chiaro: trasformare i procuratori federali in lacchè politici sarebbe costato il posto a un procuratore generale".
Il giornale critica anche il silenzio dei repubblicani al Congresso su questo tema. Mentre alcuni senatori repubblicani come Ted Cruz del Texas e Rand Paul del Kentucky hanno criticato altri abusi di potere dell'amministrazione Trump (Cruz ha definito "pericoloso come l'inferno" il tentativo del presidente della FCC Brendan Carr di togliere Jimmy Kimmel dalle onde), quasi nessun repubblicano eletto ha parlato contro la manipolazione del potere giudiziario da parte di Trump.
"Abusare del potere di imprigionare le persone è particolarmente agghiacciante in una società libera", conclude l'editoriale. "Il nostro paese è entrato in un grave nuovo periodo di ingiustizia".