Il gas di Alaska e Texas, la leva energetica del presidente Trump

L’amministrazione statunitense punta a trasformare le esportazioni di GNL in uno strumento di pressione commerciale e geopolitica, ma i progetti infrastrutturali e le promesse di acquisto incontrano limiti tecnici ed economici.

Il gas di Alaska e Texas, la leva energetica del presidente Trump
Photo by Mike Benna / Unsplash

Il presidente Donald Trump ha messo l’Alaska al centro della geopolitica mondiale invitando Vladimir Putin a un incontro il 15 agosto. Il territorio, acquistato dagli Stati Uniti dalla Russia zarista nel 1867, controlla il passaggio dal Pacifico all’Artico, via di navigazione sempre più accessibile per le due potenze nucleari. Allo stesso tempo, la Casa Bianca intende rilanciare il ruolo dell’Alaska nel mercato globale dell’energia.

Fin dall’inizio del mandato, Trump ha incoraggiato le aziende a incrementare le trivellazioni (Drill, baby, drill). Le trattative commerciali sono state usate per spingere i partner ad acquistare gas naturale liquefatto (GNL) statunitense: 750 miliardi di dollari in tre anni per l’Unione europea, 100 miliardi per la Corea del Sud, importi non precisati per il Giappone. Taiwan, Filippine e Vietnam hanno mostrato interesse, ma senza impegni vincolanti.

Le promesse, tuttavia, si scontrano con vincoli logistici e di mercato. Attualmente, le esportazioni verso l’Europa partono dal golfo del Messico, con tempi di trasporto poco competitivi per i clienti asiatici, che devono attraversare il canale di Panama e il Pacifico. Un’alternativa sarebbe Nikiski, in Alaska, collegata da un gasdotto di 1.300 chilometri dalle zone artiche. Il costo stimato è di 44 miliardi di dollari, con tempi di consegna verso il Giappone ridotti a otto giorni. Trump ha citato il progetto nella sua prima allocuzione al Congresso il 4 marzo 2025, affermando che i permessi erano già ottenuti.

A fine luglio, l’accordo di libero scambio con il Giappone è stato presentato come un passo verso una co-gestione del GNL dell’Alaska. Ma secondo il Financial Times, Tokyo avrebbe chiesto alla compagnia JERA solo una valutazione “giusta e ragionevole” del progetto, senza impegni concreti. Fonti sudcoreane confermano l’intenzione di acquistare GNL, ma non di investire nel gasdotto.

Il progetto, discusso dagli anni Ottanta, è cruciale per l’economia di uno Stato grande tre volte la Francia e con 740.000 abitanti. Dopo il boom petrolifero degli anni Settanta, la produzione di Prudhoe Bay è calata drasticamente e il gas non ha colmato il vuoto. Le divisioni interne tra industria, ambientalisti e popolazioni native hanno portato a un compromesso che preserva l’Arctic National Wildlife Refuge a est e destina la National Petroleum Reserve a ovest allo sfruttamento.

Nonostante la pubblicità, il mercato resta il fattore determinante. Le abbondanti risorse texane e i bassi prezzi del petrolio hanno reso poco attrattive le trivellazioni in Alaska. I produttori puntano piuttosto sul Texas, cuore dell’industria energetica USA, grazie alla rivoluzione del fracking che ha portato il Paese al primo posto mondiale per produzione di idrocarburi. Dal 2022 gli Stati Uniti battono record di estrazione, aiutati dall’aumento della domanda europea dopo la guerra in Ucraina.

Cheniere Energy è stato il primo esportatore di GNL, ma ora emergono nuovi attori. NextDecade, con TotalEnergies, sta costruendo un terminal a Brownsville, in Texas. Venture Global LNG ha ottenuto 15 miliardi di dollari per un terzo impianto in Louisiana, operativo dal 2027, nonostante dispute con Shell e BP.

Gli obiettivi fissati per l’Europa restano fuori portata: nel 2024 l’UE ha importato energia dagli USA per 80 miliardi di dollari, e il triplo appare irrealizzabile. Secondo Kpler, le esportazioni di GNL verso l’Europa si attesteranno sui 40 miliardi nel 2025 e 2026, con una quota di mercato superiore al 55%. Gli Stati Uniti sono oggi il primo esportatore mondiale di GNL, con il 25% del mercato, davanti a Qatar e Australia.

La strategia di aumento della produzione rischia però di abbassare il prezzo del petrolio: il WTI è sceso da 75 a 63 dollari al barile dall’insediamento di Trump. La diminuzione può ridurre il prezzo della benzina, obiettivo dichiarato dal presidente, ma penalizza i produttori, a cui nel 2024 aveva chiesto un contributo di 1 miliardo di dollari per la campagna elettorale.

Grazie ai progressi tecnologici, oggi i pozzi USA sono redditizi a 45 dollari al barile, contro i 77 del 2010. L’amministrazione ha inoltre introdotto incentivi fiscali per 18 miliardi di dollari e cancellato i sussidi alle energie rinnovabili. Tuttavia, il settore energetico non convince i mercati: dall’inizio del mandato Trump, l’indice S&P 500 è salito del 5,5%, mentre le azioni delle aziende energetiche statunitensi sono calate del 9%.

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