Il decreto anti‑ius soli di Trump sospeso di nuovo da un giudice federale
La decisione sospende temporaneamente uno dei decreti più controversi del secondo mandato del presidente statunitense, firmato il giorno del suo insediamento, che limitava l’accesso alla cittadinanza per i figli di migranti in situazione irregolare o temporanea

Un giudice federale ha sospeso giovedì il decreto del presidente Donald Trump che mirava a limitare il diritto di cittadinanza per nascita (ius soli), principio sancito dal XIV emendamento della Costituzione statunitense. La misura giudiziaria arriva in risposta a un’azione collettiva promossa da diverse associazioni, tra cui l'American Civil Liberties Union (ACLU), a tutela di tutte le persone nate sul suolo statunitense a partire dal 20 febbraio 2025, data da cui il decreto avrebbe iniziato ad avere effetto.
Il provvedimento presidenziale, firmato il 20 gennaio 2025, giorno dell’insediamento di Trump per il suo secondo mandato, prevedeva che i bambini nati da madri presenti illegalmente o solo temporaneamente negli Stati Uniti e da padri non cittadini né residenti permanenti non potessero ottenere documenti ufficiali di cittadinanza, come passaporti o certificati. La sua entrata in vigore era inizialmente fissata per il 19 febbraio.
Secondo le organizzazioni promotrici del ricorso, la decisione giudiziaria protegge “i diritti di cittadinanza di tutti i bambini nati sul suolo americano”. Aarti Kohli, direttrice dell’ONG Asian Law Caucus, ha definito il pronunciamento una “vittoria importante”, sottolineando come l’incertezza giuridica avesse spinto molte famiglie a chiedersi se fosse più sicuro far nascere i propri figli in altri Stati o se i neonati rischiassero l’espulsione.
Già in precedenza, diversi tribunali e corti d’appello avevano sospeso l’entrata in vigore del decreto sull’intero territorio nazionale. In particolare, un giudice federale di Seattle, nello Stato di Washington, aveva dichiarato il provvedimento “manifestamente incostituzionale” e ne aveva bloccato l’attuazione il 23 gennaio. Tuttavia, il 27 giugno la Corte suprema, a maggioranza conservatrice, aveva ridotto il potere dei giudici federali di emettere sospensioni a livello nazionale per le decisioni ritenute illegittime dell’esecutivo. In quella sede, l’amministrazione Trump aveva chiesto non tanto l’annullamento delle sospensioni, quanto la loro limitazione ai soli ricorrenti diretti.
La nuova sospensione giudiziaria prevede un differimento di una settimana nella sua entrata in vigore, per consentire al governo di presentare appello. Secondo le associazioni coinvolte, tale termine precede la scadenza del 27 luglio, fissata dalla stessa Corte suprema, entro la quale l’amministrazione potrà iniziare ad applicare parzialmente il decreto. La Corte non si è ancora espressa sulla sua costituzionalità, ma ha autorizzato le agenzie federali a predisporre linee guida applicative a partire da un mese dopo la decisione.
Il presidente Trump aveva apertamente dichiarato di aspettarsi un’ondata di ricorsi giudiziari contro la misura e aveva definito il diritto del suolo un principio “ridicolo”, sostenendo erroneamente che gli Stati Uniti fossero “gli unici” ad applicarlo. In realtà, diversi Paesi, tra cui Francia, Canada e Messico, riconoscono forme più o meno ampie di cittadinanza per nascita.
Negli Stati Uniti, il principio del jus soli è in vigore da oltre 150 anni ed è stabilito dal XIV emendamento, secondo cui chi nasce sul territorio statunitense acquisisce automaticamente la cittadinanza. Il decreto di Trump rappresenta il tentativo più diretto e radicale di un presidente statunitense di rimettere in discussione tale principio costituzionale.
L’ACLU, tra le principali organizzazioni promotrici del ricorso, è già stata protagonista in passato di numerose battaglie legali contro le politiche migratorie dell’amministrazione Trump, che essa definisce come una forma di “maccartismo sotto crack”.