Il declassamento di Moody’s complica i piani fiscali dei repubblicani
La decisione di Moody’s di togliere il rating tripla A agli Stati Uniti aumenta la pressione su Wall Street e sul Congresso, sollevando preoccupazioni per il disegno di legge repubblicano che potrebbe incrementare il debito federale di oltre 3.000 miliardi di dollari

Il declassamento del merito creditizio degli Stati Uniti da parte di Moody’s Ratings si è subito riflesso nei mercati obbligazionari, aggravando ulteriormente le difficoltà del maxi disegno di legge repubblicano, già oggetto di forti critiche per il potenziale impatto sul debito pubblico.
L’agenzia Moody’s ha abbassato la valutazione del debito sovrano statunitense da Aaa a Aa1, citando le conseguenze della legislazione fiscale in discussione al Congresso, la quale potrebbe aggiungere oltre 3.400 miliardi di dollari ai disavanzi federali nel prossimo decennio, secondo stime preliminari dello Yale Budget Lab e del Penn Wharton Budget Model. Con questa decisione, il debito statunitense viene ora considerato più rischioso di quello emesso da dodici altri paesi, tra cui Germania, Norvegia, Singapore e Australia.

Il messaggio implicito è stato immediatamente interpretato come una conferma delle preoccupazioni espresse da alcuni repubblicani riguardo all’insostenibilità della traiettoria fiscale del Paese. Il deputato Ralph Norman (R-S.C.), noto per la sua posizione conservatrice in materia di spesa pubblica, ha dichiarato: “Se non abbiamo un campanello d’allarme adesso – tutti noi, democratici, repubblicani – non so cosa ci vorrà”.
Nonostante l’allerta, molti repubblicani continuano a sostenere la manovra. Il direttore del National Economic Council di Trump, Kevin Hassett, ha minimizzato il significato del declassamento, attribuendolo alle politiche dell’ex presidente Joe Biden. Hassett ha inoltre sostenuto che il megabill, estendendo i tagli fiscali del 2017 e includendo nuove misure a favore di individui e imprese, stimolerà la crescita economica, anche grazie all’aumento delle entrate derivanti dai dazi.
Tuttavia, l’agenzia di rating ha esplicitamente messo in dubbio che il disegno di legge comporti “riduzioni pluriennali significative della spesa obbligatoria e dei deficit”. Anche il senatore Markwayne Mullin (R-Okla.) ha cercato di minimizzare la portata dell’evento, affermando che Moody’s ha sempre agito in modo simile in occasione di dibattiti sul limite del debito o su manovre di spesa.
In realtà, si tratta del primo declassamento da parte di Moody’s, mentre S&P e Fitch avevano già abbassato il rating del debito statunitense rispettivamente nel 2011 e nel 2023, senza successivamente ripristinarlo.
I rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi a lungo termine hanno reagito rapidamente alla notizia. Lunedì mattina, i tassi del trentennale hanno brevemente superato il 5%, mentre quelli del decennale sono saliti oltre il 4,5%, toccando livelli che non si vedevano da novembre 2023. Il movimento è stato interpretato dagli analisti come un segnale di crescente sfiducia nelle prospettive fiscali del paese.
Tra gli osservatori più preoccupati vi è Ed Yardeni, economista ed ex stratega di Wall Street, che ha avvertito: “Spero che la maggioranza repubblicana al Congresso si renda conto che il mercato obbligazionario sta osservando”. Yardeni ha spiegato che, se le politiche fiscali dovessero risultare eccessivamente espansive, gli investitori potrebbero reagire negativamente e imporre un cambio di rotta.
Il declassamento ha avuto anche ripercussioni politiche immediate. La Commissione Bilancio della Camera, dove alcuni repubblicani conservatori avevano inizialmente bloccato un voto cruciale, è stata teatro di trattative intense nel fine settimana. Quattro intransigenti, tra cui Norman, hanno infine votato “presente” domenica sera, consentendo l’avanzamento del disegno di legge. In cambio, è stata avviata una revisione delle disposizioni su Medicaid e sui crediti d’imposta per l’energia pulita, con l’obiettivo di ottenere risparmi significativi.
Una modifica rilevante sarà probabilmente l’introduzione di requisiti di lavoro per l’accesso a Medicaid già dal 2027, due anni prima di quanto previsto nella bozza iniziale. Secondo Paul Winfree, esperto di politiche fiscali conservatore, “i mercati potrebbero inviare un segnale che sono scettici sul fatto che i risparmi futuri si materializzeranno”. Da qui l’urgenza di anticipare l’attuazione dei tagli.
Parallelamente, leader aziendali vicini al Partito Repubblicano come Ken Griffin (Citadel) e Ray Dalio (Bridgewater Associates) hanno espresso pubblicamente le proprie preoccupazioni per i rischi di un’eccessiva spesa in deficit. Tali avvertimenti si aggiungono alle perplessità già sollevate dai cosiddetti “falchi fiscali” del Congresso, ora però in netta difficoltà a influenzare l’agenda del partito.
Secondo Natasha Sarin, presidente dello Yale Budget Lab, “nulla di ciò che l’amministrazione sta facendo attualmente va nella direzione di cercare di rimettere in sesto la casa fiscale”. Il governo Trump, infatti, non ha posto il rigore fiscale tra le sue priorità, mentre il Congresso, pur controllato dai repubblicani, appare riluttante a toccare settori sensibili come il sistema di protezione sociale.
Lunedì, gli effetti del declassamento hanno continuato a farsi sentire. Secondo Wells Fargo Investment Institute, la decisione di Moody’s “potrebbe intaccare la fiducia nei titoli del Tesoro statunitense, tradizionalmente percepiti come beni rifugio grazie allo status del dollaro americano come valuta di riserva globale”. Gli analisti hanno inoltre avvertito che l’appetito estero per il debito statunitense potrebbe ridursi ulteriormente, una tendenza già osservata in seguito all’annuncio del nuovo regime di dazi voluto dal presidente Trump.
Tuttavia, altri esperti, come Dave Sekera di Morningstar, ritengono che il declassamento sia “in gran parte simbolico”, dato che le problematiche alla base erano note e già incorporate nei prezzi di mercato. Infatti, dopo una reazione iniziale marcata, i rendimenti dei titoli a 30 anni si sono stabilizzati al 4,91%, e i principali indici azionari – S&P 500, Nasdaq e Dow Jones – hanno chiuso la giornata in territorio positivo.
Come osserva Tom Kozlik di Hilltop Securities, il declassamento “rafforza l’idea che la tensione fiscale [degli Stati Uniti] non è più una preoccupazione lontana”, ma una realtà con implicazioni immediate per i mercati e per il dibattito politico. In questo contesto, la manovra repubblicana rappresenta un nodo centrale, nel quale si intrecciano obiettivi elettorali, promesse fiscali e una crescente inquietudine degli investitori.