I repubblicani a ritiro a Doral tra budget, conferme di governo e nuove tensioni al Congresso

L’ormai tradizionale ritiro annuale dei deputati repubblicani si è aperto con un ospite d’eccezione: il presidente Donald Trump, pronto a lanciare la sua “Agenda47” e a motivare il suo partito a trovare un veloce accordo nell’elegante cornice del Trump National Doral Miami.
Tra scadenze legislative incalzanti, nomine controverse per il gabinetto presidenziale e profonde fratture all’interno del Partito Democratico sulla questione migratoria, a Washington lo sguardo è sempre più puntato sulla capacità dei repubblicani di trovare un’intesa rapida e solida per varare le prossime mosse legislative.
La corsa contro il tempo sul bilancio
Il calendario legislativo è serrato. Lo Speaker della Camera, Mike Johnson, ha fissato al 24 febbraio il termine ultimo per approvare una risoluzione di bilancio, primo passo per avviare il meccanismo di budget reconciliation necessario a trasformare in legge le linee guida dell’agenda di Trump.
I repubblicani, che detengono la maggioranza (anche se esigua) alla Camera e al Senato, hanno bisogno di sfruttare questa finestra temporale per consolidare la propria capacità di governo.
Tuttavia, proprio la necessità di individuare dolorosi tagli a Medicaid, ai programmi di assistenza alimentare e ad altri pilastri del Welfare State per finanziare l'estensione dei tagli alle tasse sta creando non poche tensioni interne, visto il rischio di alienare il sostegno di alcuni deputati più moderati.
Sul fronte del Senato, la sfida è simile: i due rami del Congresso devono approvare un documento di bilancio uguale prima che si possa procedere con l'estensione dei tagli alle tasse – ereditati dal 2017 e prossimi a scadenza – e con le nuove modifiche alle spese federali.
Tutto deve muoversi rapidamente: Trump ha già in programma un discorso congiunto al Congresso il 4 marzo, data che i repubblicani vorrebbero sfruttare per presentare al presidente i primi risultati concreti dei negoziati sul bilancio.
Le nomine chiave del gabinetto Trump
Mentre la Camera si concentra su tasse e spesa pubblica, il Senato è anche alle prese con le audizioni per le nomine di governo. Tra i nomi più controversi spicca quello di Tulsi Gabbard, designata da Trump come Direttrice dell’Intelligence Nazionale.
Il suo curriculum di ex deputata democratica dalle posizioni non sempre in linea con l’ortodossia repubblicana (dalla critica al Foreign Intelligence Surveillance Act all’apertura verso Edward Snowden, passando per i viaggi in Siria) ha suscitato forti perplessità in senatori chiave come Susan Collins (Maine) e Todd Young (Indiana).
A sostenerla c’è però l’ex senatore Richard Burr, autorevole figura che gode di stima bipartisan, la cui testimonianza potrebbe influenzare il giudizio di alcuni colleghi ancora incerti.
Sono in arrivo anche altre audizioni di rilievo: Robert F. Kennedy Jr. è atteso davanti alle Commissioni del Senato per l’incarico di segretario alla Salute, mentre Kash Patel, nominato direttore dell’FBI, dovrà affrontare le domande dei senatori in Commissione Giustizia. Entrambi dovranno convincere i senatori ancora incerti della validità della propria nomina.
Sul versante dei dicasteri economici e infrastrutturali, Scott Bessent (Tesoro) e Sean Duffy (Trasporti) sembrano invece avviarsi a una conferma più agevole, avendo già incassato voti decisivi in aula.
Battaglia sulle sanzioni alla Corte Penale Internazionale
Al netto del vortice nomine, il Senato deve anche votare un disegno di legge che impone sanzioni alla Corte Penale Internazionale, accusata dai Repubblicani di prendere di mira funzionari israeliani di piano con inchieste ritenute politicamente motivate.
Il testo, sostenuto compattamente dai 53 senatori repubblicani, dovrebbe attirare il sostegno di almeno 7 senatori democratici, garantendone il passaggio in aula, tanto da preoccupare alcuni senatori che temono i risvolti dannosi per le aziende tecnologiche statunitensi.
Queste ultime, infatti, forniscono servizi di cybersicurezza alla Corte e temono di trovarsi soggette a restrizioni pesanti, come effetto collaterale di queste sanzioni.
In queste ore, negoziati serrati in corso tra repubblicani e democratici puntano a modificare il disegno di legge per escludere responsabilità involontarie sulle società tech e scongiurare conseguenze commerciali spiacevoli.
Il dilemma dem su immigrazione e sicurezza al confine
A completare il quadro, il fronte democratico è invece in fermento per le divisioni all’interno del Congressional Hispanic Caucus (CHC).
L’ala più progressista, profondamente scontenta del recente voto di alcuni senatori latinos a favore del Laken Riley Act – un pacchetto di misure restrittive sull’immigrazione – contesta un’eccessiva moderazione da parte dei colleghi del Senato.
La tensione è palese: da un lato, chi vuole una linea più dura contro le politiche sull'immigrazione dell'Amministrazione Trump; dall’altro, chi ritiene che la strada dell’equilibrio e del compromesso sia l’unico modo per non perdere definitivamente il consenso di una parte dell’elettorato latino, preoccupato anche dalla sicurezza dei confine, come si è visto alle recenti elezioni.
Allo stesso tempo, c’è chi ricorda quanto conti un messaggio unitario sulla protezione dei Dreamers e dei lavoratori agricoli, due temi centrali per il blocco elettorale ispanico.
Per alcuni deputati del CHC, la compattezza dei Repubblicani sulla questione immigrazione rappresenta un avversario temibile, e reclamano urgentemente leadership più assertive da parte dei vertici democratici, in particolare del senatore Chuck Schumer, chiamato al difficile impegno di tenere unito un caucus troppo spesso frammentato.