I primi afrikaner accolti come rifugiati negli Stati Uniti
Sottotitolo: In soli novanta giorni, Washington ha autorizzato l’ingresso di famiglie sudafricane bianche con lo status di rifugiati. Il presidente Trump parla di «genocidio» contro gli agricoltori afrikaner, ma Pretoria denuncia una decisione politica priva di fondamento.

Una cinquantina di cittadini sudafricani di origine afrikaner sono stati accolti negli Stati Uniti con lo status di rifugiati, a seguito di un decreto firmato a febbraio dal presidente Donald Trump. Il provvedimento, pensato per «promuovere la reinsediamento di rifugiati afrikaner in fuga dalla discriminazione razziale», rappresenta un’eccezione all’attuale sospensione del programma americano per i rifugiati.
Il gruppo, composto da quarantanove persone appartenenti a più di una decina di famiglie, è partito domenica 10 maggio dall’aeroporto OR Tambo di Johannesburg su un volo charter organizzato dal Dipartimento di Stato.Le famiglie, alcune con bambini piccoli, si sono imbarcate senza rilasciare dichiarazioni, seguendo le istruzioni dell’ambasciata statunitense.
L’identità dei rifugiati non è stata resa pubblica, né sono note le ragioni specifiche che li hanno spinti a lasciare il Sudafrica. Tuttavia, secondo il Washington Post, i nuovi arrivati saranno distribuiti in dieci Stati americani. Il New York Times riferisce che l’amministrazione ha dato priorità alle domande presentate da agricoltori, in linea con le recenti accuse mosse da Trump e da Elon Musk – imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense – che sostengono che le autorità sudafricane vogliano espropriare le terre dei bianchi.
Commentando l’arrivo dei rifugiati lunedì 12 maggio, Trump ha evocato un presunto «genocidio» di agricoltori bianchi in Sudafrica: «I contadini vengono uccisi. Capita che siano bianchi, ma che siano bianchi o neri, per me non fa differenza», ha dichiarato, aggiungendo che gli Stati Uniti hanno «sostanzialmente esteso la cittadinanza» a questi agricoltori per sottrarli alla violenza.
Stephen Miller, vice capo di gabinetto e figura chiave della politica migratoria trumpiana, ha sostenuto che il caso sudafricano rientra perfettamente nella missione originaria del programma per i rifugiati. «Gli afrikaner sono vittime di persecuzione su base razziale», ha affermato Miller il 9 maggio, spiegando che la misura adottata da Trump riporta il programma alla sua «ragione d’essere».
Le autorità sudafricane, però, contestano fermamente questa narrazione. In un comunicato del ministero degli affari esteri, diffuso il 9 maggio, Pretoria ha definito le accuse americane «infondate» e ha criticato l’iniziativa come «estremamente deplorevole» e «motivatamente politica». Il governo sudafricano ritiene che il gesto statunitense miri a mettere in discussione la democrazia costituzionale del Paese.
Smentendo l’idea di un presunto «genocidio bianco», le autorità sudafricane ribadiscono che non esistono dati statistici in grado di dimostrare che gli agricoltori, indipendentemente dalla loro origine etnica, siano bersaglio specifico di crimini violenti. Anche nel caso di presunte discriminazioni, secondo Pretoria, non sussistono i criteri di persecuzione richiesti dal diritto nazionale e internazionale per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Attualmente, la minoranza bianca in Sudafrica rappresenta circa il 7% della popolazione, ma controlla ancora il 72% delle terre e i redditi delle famiglie bianche sono in media cinque volte superiori a quelli delle famiglie nere. Gli afrikaner, discendenti di coloni olandesi, francesi e tedeschi e responsabili storici dell’istituzione dell’apartheid, costituiscono circa la metà della minoranza bianca, ovvero circa 2,5 milioni di persone.
Secondo l’American Immigration Council, prima del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, l’approvazione delle richieste di asilo da parte degli Stati Uniti richiedeva in media dai diciotto ai ventiquattro mesi. In passato, centinaia di collaboratori dell’esercito americano in Iraq o Afghanistan hanno dovuto attendere anni prima di potersi stabilire negli Stati Uniti. L’accelerazione della procedura per i rifugiati afrikaner appare quindi eccezionale e potenzialmente motivata da considerazioni politiche interne all’amministrazione americana.