I Paesi arabi si oppongono al trasferimento forzato dei Palestinesi da Gaza

Il vertice del Cairo condanna la proposta del Presidente Trump e riafferma il diritto dei palestinesi alla loro terra e dignità.

I Paesi arabi si oppongono al trasferimento forzato dei Palestinesi da Gaza
Manifestanti egiziani protestano contro il piano di Trump

Al Cairo si è tenuto un incontro tra i Ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, dell’Autorità Nazionale Palestinese e dei rappresentanti della Lega Araba.

A valle di questa riunione è emerso un netto rifiuto, approvato in maniera unanime, della proposta avanzata dal Presidente Trump, che prevedeva il trasferimento dei palestinesi della Striscia di Gaza verso Egitto e Giordania per procedere alla ricostruzione della Striscia.

In una dichiarazione congiunta, i rappresentanti dei Paesi arabi hanno ribadito che, “in nessuna circostanza”, si potrà accettare lo spostamento dei palestinesi, difendendo con fermezza i loro diritti inalienabili alla propria terra e respingendo ogni forma di ingerenza esterna che potrebbe compromettere la stabilità regionale.

Le posizioni dei leader regionali

Il Presidente Trump aveva sostenuto, durante uno scambio di battute con i giornalisti nello Studio Ovale, che Egitto e Giordania dovrebbero accogliere i profughi di Gaza, affermando:

"Lo faranno. Lo faranno. Lo faranno, ok? Noi facciamo molto per loro e loro faranno quello che gli diciamo di fare".

Tuttavia, sia il presidente egiziano Abdel Fatah el-Sissi sia il re Abdullah II di Giordania hanno successivamente esplicitamente respinto tale proposta, sottolineando come il trasferimento non solo violerebbe i diritti dei palestinesi, ma metterebbe in seria discussione anche la sicurezza nazionale e la stabilità politica dei rispettivi Paesi.

La crisi umanitaria a Gaza

Nel frattempo, la situazione sanitaria e sociale nella Striscia di Gaza continua a peggiorare.

Lo staff diplomatico inviato dal Presidente Trump, guidato dall’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff, ha visitato il territorio, constatando una devastazione diffusa su larga scala: “Non rimane quasi nulla” della Striscia.

La ricostruzione dell’enclave, segnata da anni di conflitto, potrebbe richiedere dai 10 ai 15 anni, secondo la sua valutazione.

Durante il sopralluogo, Witkoff ha documentato in prima persona il drammatico spostamento della popolazione, che si sta dirigendo verso nord per verificare lo stato delle proprie abitazioni, trovandosi di fronte a una realtà caratterizzata dalla totale carenza di servizi essenziali, quali acqua ed elettricità.

Il problema dei detriti bellici

Una recente valutazione delle Nazioni Unite ha evidenziato che lo smaltimento di oltre 50 milioni di tonnellate di detriti, residui della campagna militare condotta da Israele, potrebbe richiedere ben 21 anni e un investimento di circa 1,2 miliardi di dollari.

I detriti, spesso contaminati da sostanze tossiche come l’amianto e, in alcuni casi, contenenti resti umani, rappresentano un ulteriore serio rischio per la salute pubblica e l’ambiente.

Il Ministero della salute di Gaza, controllato da Hamas, ha infatti stimato che fino a 10.000 corpi potrebbero essere ancora sepolti sotto le macerie.

In questo contesto, la posizione unanime espressa dai Ministri arabi lascia chiaramente intendere che la proposta di spostamento forzato dei palestinesi non è una soluzione accettabile, bensì un ulteriore ostacolo alla pace e alla convivenza nella regione.

La strada da percorrere resta quella di una pace giusta e sostenibile, basata su una soluzione a due Stati, nel rispetto dei diritti e della dignità di tutti i popoli coinvolti.

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