I nuovi dazi di Trump: un’ondata di costi che grava sulle famiglie e sull’economia statunitense
Una analisi della Tax Foundation evidenzia maggiori costi per oltre 800 dollari l’anno per nucleo familiare, mentre i timori di un rallentamento economico e di una ripresa dell’inflazione si fanno sempre più concreti.

I nuovi dazi annunciati dal presidente Trump minacciano di incidere in maniera significativa sui bilanci delle famiglie medie americane e di rallentare la crescita dell’economia statunitense.
Le ripercussioni dello scontro commerciale in arrivo su scala continentale sono ancora incerte, ma le prime analisi economiche lasciano presagire che, nonostante la forza intrinseca dell’economia statunitense, il rischio di compromettere la crescita e di aggravare l’inflazione sia ben concreto.
L’analisi della Tax Foundation
Secondo una analisi della Tax Foundation — un think tank indipendente di ricerca internazionale con sede a Washington D.C. che raccoglie dati e pubblica studi sulle politiche fiscali degli Stati Uniti — l’introduzione di questi dazi potrebbe, infatti, tradursi in un maggior costo effettivo di oltre 800 dollari per nucleo familiare nel solo anno in corso, con ulteriori ripercussioni che si estenderanno dal 2025 al 2034.
Il piano di Trump prevede l’applicazione di dazi del 25% su tutti i beni provenienti da Canada e Messico e del 10% su quelli importati dalla Cina.
In tale scenario, contemporaneamente ad un incremento delle entrate fiscali di circa 1,2 mila miliardi di dollari (a carico dei consumatori americani), si prospetta anche una contrazione del PIL pari allo 0,4%.
È importante ricordare che l’imposizione di dazi analoghi durante la precedente Amministrazione Trump avevano già generato quasi 80 miliardi di dollari in equivalenti di nuove imposte nel biennio 2018-2019.
Successivamente, l’Amministrazione Biden ha mantenuto la maggior parte di questi provvedimenti, integrandoli con ulteriori misure specifiche contro le importazioni cinesi – in particolare di prodotti tecnologici e semiconduttori.
Tali esperienze hanno già evidenziato come queste politiche possano finire per determinare alla lunga un aumento dei prezzi, una riduzione della produzione e un calo dell’occupazione.
Anche le istituzioni che si occupano di bilancio non sono rimaste indifferenti alle conseguenze delle imposizioni di dazi di questa portata.
Una recente analisi del Congressional Budget Office ha evidenziato come, almeno nelle fasi iniziali, l’aumento dei prezzi dei beni di consumo dovuto all’imposizione dei nuovi dazi finirà per colpire in modo particolarmente pesante proprio le fasce più deboli della popolazione, già in forte difficoltà dopo l’ondata inflazionistica degli anni recenti.
Le conseguenze per i consumatori americani
Il messaggio di Trump secondo cui gli Stati Uniti “non hanno bisogno dei prodotti che altri Paesi offrono” appare in netto contrasto con la realtà di un sistema produttivo globalmente interconnesso, dove molte materie prime e prodotti essenziali per la vita quotidiana dipendono dalle importazioni.
Le conseguenze rischiano di farsi sentire in particolar modo sui prodotti importati dal Canada, il Paese confinante del Nord, da cui proviene quasi il 29% delle importazioni statunitensi.
I settori maggiormente a rischio sono quello agroalimentare e quello del legname. Beni di prima necessità – dai pomodori ai componenti per automobili, fino al legname – rischiano, infatti, di subire un rialzo dei costi che inevitabilmente si tradurrà in un maggior onere per i consumatori americani.
Ad esempio, le importazioni dei dazi sulle importazioni di legname canadese – che rappresenta il 25% del totale utilizzato negli Stati Uniti – potrebbe generare uno “shock” lungo tutta la catena di approvvigionamento proprio in un momento in cui il Paese è impegnato nella ricostruzione post-disastri naturali e nella lotta contro la carenza di alloggi.
Il Messico, invece, rappresenta la principale fonte di frutta e verdura invernale per gli Stati Uniti: solo a febbraio le importazioni alimentari dal Paese confinante del sud hanno raggiunto i 2,25 miliardi di dollari, includendo grandi quantità di peperoni, avocado, agrumi e altri ortaggi.
Sostituire queste forniture con produzioni interne comporterebbe costi elevati e ritardi, penalizzando ulteriormente i consumatori americani.
In definitiva, quindi, le nuove misure tariffarie promosse dal presidente Trump rischiano di avere impatti profondi e diffusi che si estenderanno ben oltre i tradizionali confini del commercio internazionale.