I mercati temono una recessione in arrivo negli Stati Uniti a causa delle guerre commerciali di Trump
Il Segretario al Tesoro Bessent parla di "riequilibrare l'economia", ma gli analisti lanciano l'allarme sugli effetti dei dazi.

Mentre Donald Trump sostiene fermamente che "le guerre commerciali sono buone e facili da vincere", come aveva già affermato in un tweet del 2018, i mercati finanziari sembrano avere un'opinione diametralmente opposta.
Gli investitori ritengono che un conflitto commerciale possa essere dannoso, facile da perdere e potenzialmente in grado di spingere gli Stati Uniti verso una recessione altrimenti evitabile.
Un elemento chiave di questa nuova dinamica è che l'Amministrazione Trump 2.0 si mostra profondamente diversa dalla precedente.
Se durante il primo mandato il presidente sembrava sensibile alle reazioni negative dei mercati, pronto a correggere il tiro quando necessario, oggi gli operatori non sono più convinti di poter contare sul cosiddetto "Trump put", ovvero l'idea che il presidente possa invertire la rotta su politiche sgradite al mercato.
La posizione dell'amministrazione è stata chiaramente articolata dal Segretario al Tesoro Scott Bessent, che ha dichiarato:
"Wall Street ha avuto ottimi risultati, ma noi puntiamo alle piccole imprese e ai consumatori. Stiamo per riequilibrare l'economia". Bessent ha anche indicato "il livello dei titoli di Stato a 10 anni" come "una delle più grandi vittorie per il popolo americano".
È significativo che Bessent, ex gestore di hedge fund, sia ben consapevole che il calo dei tassi d'interesse a lungo termine riflette pessimismo sulle prospettive di crescita futura e le aspettative dei mercati sul fatto che la Federal Reserve dovrà mantenere i tassi bassi per stimolare l'occupazione.
I dati mostrano un cambiamento drastico nelle aspettative di mercato: l'11 febbraio, la probabilità che la Fed tagliasse i tassi quattro volte quest'anno era stimata appena all'1%. Oggi, la probabilità di almeno quattro tagli è salita al 30%, mentre la probabilità di tre o più tagli è balzata al 62%.
Considerando la persistenza dell'inflazione, che probabilmente diventerà ancora più resistente quando i dazi più elevati inizieranno a farsi sentire, l'unico motivo per cui la Fed potrebbe effettuare così tanti tagli sarebbe quindi la percezione di un significativo rallentamento economico o persino di una recessione in arrivo.
Tutto questo sta finendo per provocare un indebolimento del dollaro, l'opposto di quanto previsto dall'economia classica quando aumentano i dazi. In teoria, infatti, i dazi statunitensi dovrebbero rafforzare il dollaro, poiché si vendono meno dollari per pagare le importazioni.
Tuttavia, questi dazi sono così consistenti e potenzialmente dannosi per l'economia americana che, secondo i mercati dei cambi, gli effetti macroeconomici interni probabilmente sovrasteranno gli effetti benefici sulla valuta dei flussi di capitale.
Storicamente, il dollaro ha beneficiato dello status di "bene rifugio", rappresentando un deposito di valore affidabile in tempi volatili. Tuttavia, quando è il presidente degli Stati Uniti stesso a causare la volatilità, il dollaro appare sempre meno attraente sotto questo aspetto.