I giudici americani dicono che Trump sta minando il diritto al giusto processo
Allarme bipartisan sulle espulsioni di massa: minacciati i diritti costituzionali anche per i cittadini statunitensi

Una crescente preoccupazione sta emergendo all’interno del sistema giudiziario statunitense: la campagna di espulsioni di massa avviata dal presidente Donald Trump sta minando, secondo numerosi giudici federali, un principio fondante della democrazia americana – il diritto al giusto processo. Giudici nominati da presidenti di entrambi gli schieramenti politici, inclusi alcuni scelti dallo stesso Trump, stanno lanciando avvertimenti sempre più espliciti sull’erosione delle garanzie costituzionali, non solo per gli immigrati, ma potenzialmente anche per i cittadini statunitensi.
Al centro del dibattito c’è la clausola del 5° Emendamento della Costituzione, che stabilisce che “nessuna persona sarà... privata della vita, della libertà o della proprietà, senza un giusto processo legale”. Come ricordato da più sentenze della Corte Suprema, la dizione “persona” comprende anche i non cittadini. La giudice Ana Reyes, nominata dal presidente Joe Biden, ha dichiarato durante un’udienza che difendere il giusto processo significa tutelare un principio “incorporato probabilmente nel documento più significativo rispetto ai diritti delle persone contro l'oppressione governativa tirannica”.
Il dibattito si è intensificato in seguito ai tentativi dell’amministrazione Trump di rimpatriare migranti senza fornire un’adeguata udienza, appellandosi al mandato elettorale ricevuto da oltre 77 milioni di votanti. Secondo Kush Desai, portavoce della Casa Bianca, Trump starebbe utilizzando “ogni potere conferito al ramo esecutivo dalla Costituzione e dal Congresso” per rispettare la volontà popolare, anche tramite lo strumento dell’Espulsione Accelerata.
Stephen Miller, consigliere di lungo corso del presidente, ha definito l’opposizione dei tribunali un “colpo di stato giudiziario” e ha suggerito che la Casa Bianca stia valutando la sospensione dell’habeas corpus, principio che garantisce il diritto a contestare la propria detenzione. Anche il direttore dell’FBI Kash Patel ha dichiarato di non sapere se centinaia di venezuelani rimpatriati in El Salvador a marzo abbiano ricevuto un giusto processo, suscitando un acceso scambio con il senatore Jeff Merkley. Alla domanda se la Costituzione garantisca tale diritto, Patel ha risposto: “Non dice questo”, pur non contestando il principio affermato dal giudice Antonin Scalia in una sentenza del 1993.
Il presidente Trump stesso ha dichiarato in un’intervista a Kristen Welker della NBC di non essere sicuro se i non cittadini abbiano diritto al giusto processo. Ha poi criticato il sistema giudiziario su Truth Social, accusandolo di impedirgli di svolgere il lavoro per cui è stato eletto e invocando l’espulsione immediata di “assassini e altri criminali” entrati illegalmente negli Stati Uniti.
Nonostante le dichiarazioni dell’amministrazione, che afferma di rispettare gli ordini dei tribunali, i giudici a tutti i livelli stanno contestando apertamente questa visione. In particolare, la Corte Suprema ha bloccato più volte l’utilizzo dell’Alien Enemies Act, una legge del 1798 che consente espulsioni rapide in tempo di guerra, evidenziando l’illegittimità di molte delle pratiche in atto. In un caso emblematico, l’espulsione di Kilmar Abrego Garcia verso El Salvador è stata giudicata “illegale” dalla Corte Suprema, poiché violava un ordine del 2019 che ne vietava il rimpatrio per rischio di persecuzioni. Nonostante ciò, l’amministrazione sostiene di non poterlo riportare negli Stati Uniti e continua a descrivere Abrego Garcia come un pericoloso criminale.
Il giudice J. Harvie Wilkinson, nominato da Ronald Reagan, ha denunciato una “crisi incipiente” e ha avvertito che se il governo può aggirare il processo per gli immigrati, nulla gli impedirà domani di farlo anche con i cittadini. “Il governo sta rivendicando il diritto di nascondere i residenti di questo paese in prigioni straniere senza la parvenza di un giusto processo”, ha scritto Wilkinson.
Preoccupazioni simili sono state sollevate anche da altri giudici nominati da Trump. In Maryland, la giudice Stephanie Gallagher ha criticato l’amministrazione per aver resistito al ritorno negli Stati Uniti di un uomo espulso in violazione di un ordine del tribunale. In Louisiana, il giudice Terry Doughty ha parlato di un “forte sospetto” che il governo abbia espulso senza processo un bambino di due anni, probabilmente cittadino americano.
In Massachusetts, il giudice distrettuale Brian Murphy si è detto sconcertato dalla posizione secondo cui il governo può inviare immigrati in qualsiasi paese, senza preavviso né approvazione giudiziaria, a condizione di ricevere garanzie generali contro la tortura. “Tutti e nove i giudici in carica della Corte Suprema, il Congresso, il buon senso, la decenza di base e questo Tribunale sono tutti in disaccordo”, ha scritto Murphy.
I giudici continuano a sottolineare che se oggi si permette l’espulsione sommaria di persone etichettate come membri di gang o terroristi – senza prove e senza udienza – domani la stessa logica potrebbe essere applicata a chiunque. “Cosa impedisce al governo di detenere qualcuno che è veramente un cittadino, magari persino un giudice in carica?”, si è chiesto il giudice Vilardo. La giudice Stephanie Thacker ha aggiunto: “Se il giusto processo non ha importanza, cosa impedisce al governo di rimuovere e rifiutare di far tornare un residente permanente legale o addirittura un cittadino nato negli Stati Uniti?”
Per molti magistrati, la posta in gioco è la tenuta dello stato di diritto. Come ha dichiarato Erwin Chemerinsky, decano della Berkeley School of Law, “il giusto processo rende più difficile per il governo fare ciò che vuole. Questo è l’intero punto: assicurarsi che il governo agisca in conformità con la legge.”