I democratici approfittano del caos di questi giorni per cercare di rilanciarsi
Dalle dimissioni di un senatore chiave al blocco (poi sospeso) dei fondi federali, l’opposizione democratica ritrova un fronte comune contro la Casa Bianca.
La settimana politica americana si è aperta in modo inaspettato per il Partito Democratico. Il senatore Gary Peters, eletto per l'ultima volta nel 2020 in un Michigan sempre in bilico, ha annunciato che non correrà per la rielezione, aprendo così la battaglia per un seggio cruciale per il controllo del Senato alle elezioni di midterm del 2026.
Il suo annuncio arriva mentre il Partito è ancora indebolito dall’uscita di Joe Biden e Kamala Harris dalla Casa Bianca, ed è in attesa che il Comitato Nazionale Democratico elegga il suo nuovo presidente, ed elabori una strategia per cercare di riprendere il controllo del Congresso e, possibilmente, della Casa Bianca nei prossimi cicli elettorali.
Nel frattempo, però, un evento inatteso ha dato ai democratici l’occasione di ricompattarsi: l’Ufficio per la Gestione e il Bilancio (OMB) della Casa Bianca ha diffuso nella tarda serata di lunedì un memo per sospendere temporaneamente numerosi finanziamenti federali.
Si è trattato di una mossa che ha destabilizzato gli stessi Repubblicani, colti impreparati dalla misura, e ha fornito ai Democratici l’opportunità di passare all'attacco per la prima volta dall'inaugurazione di Trump.
Sotto la pressione dell’opinione pubblica e dei senatori di entrambi i partiti, l’OMB ha successivamente chiarito che programmi chiave come Social Security, Medicare, Medicaid e i buoni pasto non sarebbero stati toccati dal blocco.
Tuttavia, la confusione generata dal blocco iniziale è bastata a creare un’ondata di proteste. La senatrice repubblicana Susan Collins ha espresso tutto il proprio disappunto, definendo la misura “troppo vasta e dannosa”, mentre il leader democratico Chuck Schumer ha denunciato “l’atto crudele e distruttivo” di Trump.
Anche sul fronte giudiziario, uno spiraglio si è aperto per gli oppositori del presidente: una giudice federale nominata da Biden ha infatti sospeso provvisoriamente il provvedimento di blocco dei fondi federali, regalando altri giorni di copertura mediatica alla battaglia ingaggiata dai Democratici.
Intanto, proprio dall’interno della stessa Amministrazione arrivano nuove prove del clima di tensione: Trump ha licenziato 18 ispettori generali, mossa che ha suscitato perplessità bipartisan, e concesso la grazia a circa 1.500 protagonisti dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, alcuni dei quali si sono poi trovati immediatamente coinvolti in nuovi problemi con la polizia.
Non meno controversa appare la purga annunciata negli ultimi giorni al Dipartimento di Giustizia, dove alcuni procuratori di lunga data che avevano collaborato alle inchieste penali contro Trump sono stati sollevati dai loro incarichi.
Come se non bastasse, il nuovo Segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha aperto un’indagine interna su Mark Milley, ex capo dello Stato Maggiore, aggiungendo un ulteriore livello di scontro.
Nel mezzo di tutto questo, i Democratici stanno cercando di alzare la voce per farsi sentire, seppur in posizione di minoranza: ora pianificano di sfruttare le audizioni di Robert F. Kennedy Jr., dell’ex deputata Tulsi Gabbard e di Kash Patel per contestare le nomine di Trump.
Gabbard, in particolare, potrebbe trovare più resistenze del previsto.
Lo scontro prossimo venturo ruota però attorno al rifinanziamento del governo, con la scadenza al 14 marzo che incombe, e all’ennesimo voto sull'aumento del tetto del debito. Si tratta di situazioni notoriamente esplosive, in cui la maggioranza repubblicana potrebbe rischiare di forzare la mano e provocare l’effetto opposto a quello desiderato.
È già successo in passato ai Democratici di Barack Obama, poi a quelli di Joe Biden, e potrebbe ora ripetersi con i Repubblicani di Trump: spingendosi troppo in là, l’attuale maggioranza rischia di incassare il dissenso di un’America sempre pronta a punire l’arroganza del potere.