Gli Stati Uniti rifiutano l’esame ONU sui diritti umani
Washington non parteciperà all’esame periodico universale del Consiglio per i diritti umani, accusando l’ONU di politicizzazione e di pregiudizi contro Israele. È la prima volta che gli Stati Uniti disertano la procedura.
Il governo statunitense ha notificato alle Nazioni Unite che non si sottoporrà al prossimo esame periodico universale sui diritti umani, previsto per novembre. La decisione, comunicata con una lettera datata 27 agosto e firmata dal rappresentante americano a Ginevra, segna un nuovo strappo tra l’amministrazione del presidente Donald Trump e le istituzioni multilaterali.
L’esame periodico universale è un meccanismo attivo dal 2008 che sottopone i 193 Stati membri delle Nazioni unite a un controllo tra pari, con tre cicli completati per ciascun Paese. Ogni governo deve presentare il proprio bilancio in materia di diritti umani, esaminato poi dagli altri Stati, che possono avanzare raccomandazioni e critiche.
Nella lettera indirizzata al Consiglio dei diritti umani, gli Stati Uniti contestano la legittimità della procedura. Secondo il testo, l’esame non sarebbe “fondato su informazioni obiettive e affidabili” né condotto “in modo equo”. Il documento accusa inoltre il sistema onusiano di “politicizzazione dei diritti umani” e di un “pregiudizio sistematico contro Israele”. Al contrario, sostiene Washington, “gli abusi della Cina, della Corea del Nord, di Cuba e del Venezuela vengono ignorati”. La lettera conclude rivendicando l’orgoglio americano per il proprio bilancio sui diritti umani e annunciando che la partecipazione statunitense alle organizzazioni internazionali “si concentrerà sulla promozione degli interessi e dei valori americani”.
Il passo indietro è senza precedenti per gli Stati Uniti. Anche quando nel 2018, durante il primo mandato di Trump, Washington decise di uscire dal Consiglio dei diritti umani, continuò comunque a sottoporsi alla procedura di revisione. Finora l’unico caso di rifiuto era stato quello di Israele, che nel 2013 si oppose dopo l’adozione di una risoluzione contro la colonizzazione dei territori palestinesi. In quel caso l’esame fu solo rinviato e Israele tornò a collaborare pochi mesi dopo.
Il rifiuto statunitense arriva inoltre nel contesto di un duro confronto con il Consiglio delle Nazioni unite. In luglio, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni a Francesca Albanese, la giurista italiana che ricopre il ruolo di relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi, accusandola di “antisemitismo”. Albanese ha più volte descritto la guerra di Israele a Gaza, in corso da quasi due anni, come un genocidio.
Il commissario ONU per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso “rammarico per la decisione degli Stati Uniti di non partecipare a questo processo intergovernativo di valutazione tra pari”. Anche Pascal Sim, portavoce del Consiglio, ha ricordato che tutti i 193 Stati membri sono stati esaminati tre volte dal 2008 a oggi.
La scelta di Washington rischia quindi di indebolire l’intero meccanismo di revisione. Se altri Paesi dovessero seguire l’esempio statunitense, l’esame periodico universale potrebbe perdere gran parte della sua legittimità.
In passato, le amministrazioni americane avevano utilizzato il Consiglio dei diritti umani anche per sostenere iniziative coerenti con la loro politica estera. Durante la presidenza di Joe Biden, per esempio, gli Stati Uniti appoggiarono la creazione di una commissione d’inchiesta sull’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Uno scenario che appare ormai lontano.