Gli Stati Uniti pronti a consentire un limitato arricchimento di uranio all'Iran sfidando Israele?

Gli Stati Uniti potrebbero accettare che Teheran mantenga un programma nucleare limitato sotto stretta sorveglianza, mentre Israele continua a chiedere lo smantellamento totale. Trump ribadisce: "Possibili attacchi militari se non si raggiungerà un accordo in tempi brevi".

Gli Stati Uniti pronti a consentire un limitato arricchimento di uranio all'Iran sfidando Israele?

L'Amministrazione del presidente Donald Trump si è dichiarata pronta a tollerare che l’Iran continui ad arricchire uranio a basso livello, a condizione che tale attività resti sotto rigido controllo da parte della comunità internazionale. La nuova posizione, annunciata dall'inviato speciale Steve Witkoff durante un’intervista a Fox News, rappresenta un significativo allontanamento dall’originaria linea della Casa Bianca, che chiedeva invece lo smantellamento completo del programma nucleare iraniano.

Secondo Witkoff, Teheran non dovrebbe superare un livello di arricchimento del 3,67%, una soglia sufficiente per usi civili ma ben al di sotto del 90% necessario per scopi militari. "Si tratterà principalmente di verifica sul programma di arricchimento e in ultima analisi di verifica sulla weaponization", ha dichiarato Witkoff, facendo riferimento al possibile impiego del materiale in armamenti nucleari.

L’apertura statunitense potrebbe costituire un punto di svolta nei colloqui sul nucleare, che riprenderanno sabato dopo un primo incontro svoltosi il fine settimana precedente in Oman. Tuttavia, pone gli Stati Uniti in una posizione di contrasto rispetto a Israele, che chiede la completa eliminazione delle capacità nucleari iraniane.

Le tensioni con Israele

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso con fermezza l’opposizione del suo governo a qualsiasi accordo che lasci in vita componenti del programma nucleare iraniano. Netanyahu propone un approccio analogo al cosiddetto “modello libico” del 2003, quando la Libia acconsentì a smantellare integralmente il proprio programma sotto la supervisione americana.

A sottolineare la divergenza strategica tra Washington e Tel Aviv è Yoel Guzansky, esperto del Institute for National Security Studies di Tel Aviv. "Israele non può convivere con un Iran sulla soglia nucleare, ma gli Stati Uniti possono: questa è la differenza principale", ha affermato Guzansky. Egli ha inoltre osservato come molti in Israele si aspettassero un approccio più aggressivo da parte della nuova Amministrazione Trump, includendo un possibile uso della forza contro le infrastrutture nucleari iraniane.

Pur avendo indicato una preferenza per una soluzione diplomatica, il presidente Trump ha però ribadito la possibilità di un intervento militare. Lunedì ha affermato che "non possono avere un'arma nucleare e devono agire in fretta", aggiungendo che l’Iran è “abbastanza vicino” a dotarsene. Alla domanda diretta sull’eventualità di attacchi contro le strutture nucleari iraniane, Trump ha risposto: "Certo che sì".

Differenze rispetto all’accordo del 2015

La proposta dell’Amministrazione Trump richiama alcuni aspetti del precedente accordo sul nucleare siglato nel 2015 sotto la presidenza di Barack Obama, ma con differenze sostanziali. In particolare, Witkoff ha chiarito che qualsiasi nuova intesa dovrà prevedere limiti permanenti all’arricchimento dell’uranio, mantenendolo stabilmente sotto il 3,67%. Al contrario, l’accordo del 2015 conteneva clausole di scadenza (“sunset clauses”) che avrebbero permesso all’Iran di ampliare progressivamente le sue attività nucleari.

Un ulteriore elemento di divergenza riguarda i missili balistici e cruise in possesso dell’Iran. Witkoff ha proposto che un eventuale accordo includa anche la verifica di questi armamenti e dei loro sistemi di innesco. Teheran, tuttavia, ha sempre rifiutato ogni trattativa sul proprio arsenale missilistico, considerandolo cruciale per la propria difesa nazionale, soprattutto alla luce delle carenze della sua aviazione militare, ritenuta tecnologicamente arretrata secondo fonti dell’intelligence statunitense.

Lo stato attuale del programma iraniano

Attualmente, l’Iran produce uranio arricchito al 60%, un livello significativamente più elevato di quello richiesto per scopi civili. Secondo fonti ufficiali statunitensi, questa purezza rende possibile una rapida conversione del materiale in uranio a uso militare, con una tempistica stimata tra una e due settimane.

L’Iran giustifica il proprio programma nucleare dichiarando di aver bisogno di uranio arricchito al 20% per alimentare il reattore di ricerca nucleare, livello già raggiunto nel 2010. Il Paese medio orientale è attualmente l’unico al mondo, tra quelli non dotati ufficialmente di armi nucleari, a produrre uranio arricchito al 60%.

Il ritorno a un limite del 3,67% renderebbe più lungo il tempo necessario per raggiungere il livello del 90% richiesto per costruire una bomba, ma non eliminerebbe del tutto il rischio. Secondo l’Arms Control Association, senza la rimozione delle scorte di uranio arricchito e delle centrifughe avanzate già installate, l’Iran potrebbe comunque accumulare materiale fissile sufficiente alla produzione di un ordigno nell’arco di pochi mesi.

In questo contesto, il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha commentato i recenti colloqui con un cauto ottimismo. "Non siamo né eccessivamente ottimisti né eccessivamente pessimisti riguardo ai colloqui", ha dichiarato martedì, secondo quanto riportato dai media iraniani.

Nonostante la presenza di ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica in Iran, Teheran ha imposto negli ultimi mesi notevoli restrizioni alle attività di monitoraggio. Questo fattore rappresenta una delle principali preoccupazioni per gli Stati Uniti e per gli altri paesi coinvolti nei negoziati.

Pressione militare e diplomazia: la strategia duale di Washington nel Golfo

In parallelo agli sviluppi diplomatici, anche la dimensione militare sta assumendo un ruolo centrale nella strategia statunitense. La presenza simultanea delle due portaerei nel Mar Arabico, in un contesto già segnato da forti tensioni regionali, viene interpretata da diversi analisti come un segnale di deterrenza mirato non solo all’Iran ma anche ai suoi alleati nella regione.

La pressione militare, combinata con l’apertura diplomatica manifestata dall’Amministrazione Trump, suggerisce una strategia duale volta a rafforzare la posizione negoziale degli Stati Uniti. Alcuni osservatori, citati dall’Associated Press, sottolineano come l’invio della USS Carl Vinson, a supporto della USS Harry S. Truman, rafforzi la capacità operativa americana nel caso di un’escalation.

Tuttavia, rimane incerto fino a che punto Teheran possa essere dissuasa da un potenziale sviluppo bellico del proprio programma nucleare, soprattutto in assenza di garanzie internazionali che assicurino una revoca duratura delle sanzioni e il rispetto della sovranità iraniana.

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