Florida, laboratorio della stretta anti-immigrazione di Trump

Nel Sunshine State cresce la cooperazione obbligatoria tra autorità locali e polizia federale dell’immigrazione, mentre l’opposizione denuncia abusi, arresti arbitrari e violazioni dei diritti fondamentali.

Florida, laboratorio della stretta anti-immigrazione di Trump
White House

La Florida si propone come Stato modello nella lotta all’immigrazione irregolare voluta dall’amministrazione Trump. A incarnare questa strategia sono due simboli: l’«Alcatraz degli alligatori», un campo di detenzione installato su un ex aerodromo nel parco nazionale delle Everglades, e il caso di Juan Carlos Lopez-Gomez, cittadino americano di 20 anni arrestato per errore il 17 aprile.

Nato in Georgia, Lopez-Gomez è stato detenuto in applicazione di una legge firmata a febbraio dal governatore Ron DeSantis, che criminalizza la presenza sul territorio statale di persone prive di status legale. Un giudice federale ne ha sospeso l’applicazione, giudicando fondate le obiezioni delle associazioni per i diritti dei migranti. La Corte suprema ha confermato la decisione il 9 luglio, infliggendo un parziale stop alla politica repressiva dell’esecutivo statale. Ma il governo della Florida ha continuato a moltiplicare le pressioni sulle istituzioni locali per forzarle a collaborare con la Immigration and Customs Enforcement (ICE), la polizia federale dell’immigrazione, il cui potenziamento è previsto nella legge di bilancio firmata il 3 luglio dal presidente Trump.

Il governatore DeSantis ha posto fin dal 2019 il contrasto alle cosiddette “città santuario” al centro della sua politica. La legge in vigore vieta alle autorità locali qualsiasi forma di limitazione alla cooperazione con le agenzie federali. I critici sostengono che questo compromette la fiducia tra le forze dell’ordine e le comunità locali, favorendo arresti su base etnica.

Il nuovo procuratore generale della Florida, James Uthmeier, ex capo di gabinetto di DeSantis, ha intensificato questa linea. Dopo aver definito “illegittima” e “illegale” la decisione della giudice federale, è stato condannato per oltraggio. Nonostante questo, ha proseguito la sua azione, minacciando sanzioni ai sindaci che non si adeguano. Ad aprile, il sindaco democratico di Orlando, Buddy Dyer, ha ritirato un regolamento municipale del 2018 che vietava agli agenti di polizia di verificare lo status legale delle persone fermate o coinvolte in segnalazioni di reati.

La strategia si fonda sull’estensione del “protocolo 287(g)”, dispositivo introdotto nel 1996 e ampliato sotto DeSantis. Inizialmente limitato a 34 agenzie locali, coinvolge oggi oltre 450 organismi, secondo l’American Civil Liberties Union. In Florida la sua applicazione si è allargata ben oltre i reparti di polizia: ne fanno parte la polizia autostradale (coinvolta nell’arresto errato di Lopez-Gomez), il dipartimento dell’agricoltura, il dipartimento della giustizia e perfino il Conservatorio della fauna e della flora.

L’obbligo di cooperazione impone a questi enti di segnalare o arrestare i migranti privi di documenti. La Florida Immigrant Coalition denuncia che “in tutto lo Stato, le autorità locali sono costrette a firmare questi accordi. I governi locali dovrebbero servire tutti i residenti, non trasformarsi in squadre d’intimidazione”.

Anche le università pubbliche sono coinvolte. La maggior parte degli atenei statali ha aderito al protocollo, consentendo ai loro corpi di polizia di interrogare o fermare studenti privi di documenti. Il sindacato dei docenti della Florida International University ha denunciato questa politica come “un tradimento del suo ruolo storico a servizio della comunità ispanica”. Particolarmente esposti sono gli studenti coperti dal programma DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), che tutela temporaneamente i migranti arrivati da bambini. Il loro futuro è ora incerto.

Le reazioni critiche non sono mancate nemmeno nel campo repubblicano. La senatrice di Miami Ileana Garcia, esponente di spicco dei Latinas for Trump, ha condannato le modalità di azione dell’ICE come “inaccettabili e disumane”. Tuttavia, pochi giorni dopo, anche Miami ha deciso di aderire al protocollo, segnalando quanto forti siano le pressioni istituzionali.

Secondo la Florida Immigrant Coalition, le autorità statali usano la leva della disinformazione e dell’intimidazione per spingere le amministrazioni locali ad accettare gli accordi. Il risultato è un sistema diffuso di collaborazione forzata, che coinvolge settori non tradizionalmente deputati alla sicurezza, e che espone al rischio di abusi e violazioni su vasta scala.

La Florida si distingue così non solo per l’entità del suo impegno repressivo, ma anche per l’estensione trasversale del sistema di controllo migratorio. In netto contrasto con gli Stati democratici, come la California, dove si sono verificati scontri tra cittadini e ICE, il Sunshine State si propone come laboratorio della visione trumpiana sull’immigrazione: centralizzazione delle competenze, militarizzazione del territorio e subordinazione delle istituzioni civili al braccio operativo federale.

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